I Dazi di Trump hanno fatto scoppiare la “Pace“
di Antonio Adriano Giancane
Una frase che, sebbene possa sembrare un’ironia, nasconde una verità inquietante su come l’informazione possa manipolare la percezione collettiva e orientare la sensibilità globale. Oggi, mentre ci troviamo immersi in una miriade di notizie quotidiane, è più che mai evidente come certi temi, soprattutto quelli economici, possano deviare l’attenzione da questioni ben più urgenti, come le guerre, le sofferenze umane e le crisi politiche internazionali.
Il 2 aprile, l’ex presidente Donald Trump ha lanciato un annuncio che ha fatto tremare l’economia globale. Il presidente americano, dal prato della Casa Bianca, ha dichiarato l’introduzione di dazi senza precedenti, che colpivano in modo mirato vari paesi, tra cui la Cina, l’India, la Corea del Sud, il Giappone, la Svizzera e, naturalmente, l’Unione Europea. Le nuove tariffe commerciali si sono rivelate molto più alte di quanto ci si aspettasse: un 34% sulla Cina, il 26% sull’India, il 25% sulla Corea del Sud e così via. La misura, finalizzata a combattere quelle che Trump ha definito “barriere commerciali ingiuste”, ha scatenato una tempesta di reazioni tra i leader mondiali, ma è anche diventata il cuore di un dibattito che va oltre l’economia.
In un mondo dove le guerre sembrano non finire mai – basti pensare ai conflitti in Medio Oriente, in Ucraina, o alle tensioni nella Penisola Coreana – la politica economica si è fatta spazio, conquistando la scena globale. Non solo attraverso le trattative diplomatiche, ma anche grazie alla potente leva dell’informazione. Le dinamiche geopolitiche, che un tempo erano raccontate principalmente in termini di violenze e territori occupati, oggi sembrano passare in secondo piano quando i riflettori si concentrano sulle tariffe commerciali e sugli equilibri economici. In un certo senso, la notizia dei dazi è diventata l’alibi perfetto per mascherare l’assenza di soluzioni concrete alle crisi umanitarie, nascondendo dietro una semplice misura economica la complessità dei conflitti internazionali.
L’informazione quindi ha il potere di indirizzare l’opinione pubblica. Le narrazioni mediatiche, selezionate in base a interessi politici, economici e sociali, riescono a creare una realtà che, per quanto apparentemente obiettiva, è spesso distorta. Le notizie sugli scontri armati, le occupazioni di territori, le sofferenze dei popoli, sembrano ormai rimanere ai margini, mentre le questioni economiche, come quelle legate ai dazi, sembrano aver preso il centro della scena. La pace, che ci immaginiamo possa derivare da accordi economici e politiche tariffarie, diventa la nuova narrativa “salvifica”, che si sovrappone agli altri problemi più complessi e meno facili da risolvere.
Questo cambiamento di focus non è solo una questione di come le notizie vengono raccontate, ma anche di come vengono ricevute dal pubblico. Il fenomeno della “distrazione collettiva” è amplificato dalla rapidità con cui le informazioni si diffondono attraverso i media e i social network. Ogni giorno, nuove notizie travolgono il pubblico, e quella che potrebbe essere una crisi globale dimenticata viene rimpiazzata dalla novità economica del momento. La presentazione di dazi come una panacea per le guerre globali è un esempio perfetto di come, in un mondo sempre più frenetico, l’informazione si adatti alle necessità di chi vuole tenere alta l’attenzione su temi che portano benefici immediati, ma che non risolvono davvero le radici del conflitto.
La conseguenza diretta di questa manipolazione è che la comprensione delle cause dei conflitti – e, soprattutto, delle sofferenze umane che questi comportano – rischia di essere distorta o di svanire. I morti, gli sfollati, i prigionieri di guerra, le atrocità che segnano la storia dei popoli oppressi rischiano di essere oscurati dalla luce dei numeri economici e delle politiche protezionistiche. Questo non è solo un problema di politica internazionale, ma una questione di giustizia sociale e morale, che va oltre il mero calcolo economico.
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