Cina alla conquista dell’Africa, il CFA francese sostituito dalla moneta ECO, ancorata allo yuan cinese

Angelo Ferrari su AGI parla dello strapotere cinese in Africa. Nei giorni scorsi i paesi dell’Africa Occidentale – la maggior parte ex colonie francesi ancorati alla  famigerata moneta (il franco cfa) legata all’euro e garantita dal tesoro francese – si possono dotare di una moneta propria abbandonando, quindi, il franco Cfa. 

Tutto ciò è emerso durante una riunione che si è tenuta ad Abidjan dei ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali dei Paesi della Comunità economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest (Cedeao), come riporta il sito Info-Cooperazione.

La nuova moneta, che dovrebbe essere adottata da 13 Paesi e da circa 350 milioni di persone, si chiamerà Eco, dovrebbe entrare in vigore nel 2020, decretando la fine del predominio francese in quell’area. 

Non è ancora chiaro se la Nigeria, prima economia del continente, aderirà al progetto. Di certo l’abbandono del franco Cfa è stato voluto, in maniera insistente, dal Ghana, Paese anglofono che ha una sua moneta (il Cedi ghanese).

Ma ciò che colpisce di più  è che la nuova moneta, l’Eco, potrebbe essere ancorato allo yuan cinese, per evitare oscillazioni pericolose per i mercati. Ciò che accaduto con il franco Cfa ancorato all’Euro. Il progetto di moneta unica della Cedeao è fortemente voluto dal Ghana, principale partner commerciale della Cina nell’area, e con una moneta abbastanza instabile.

Insomma, l’Africa Occidentale, se non tutta, vorrebbe passare, con questa decisione, dalla tutela francese a quella cinese. Ciò dimostra, inoltre, che per questi paesi non è pensabile garantire la stabilità monetaria senza un ancoraggio a una moneta forte. Il Franco Cfa, negli anni, ha garantito proprio questo: stabilità e bassa inflazione, a differenza di ciò che è accaduto nei Paesi dell’area che non avevano adottato quella moneta, il Ghana, ancora, ne è un esempio. Con l’avvento dell’Eco si compie il progetto cinese: la diplomazia della trappola del debito, proprio voluta da Pechino. La Cina non presta denaro a “free”, intende essere ripagata, come normale che sia, ma si garantisce la restituzione dei denari prestati stipulando clausole spesso capestro. Un esempio significativo da questo punto di vista è Gibuti, dove ha sede la prima base permanente all’estero della Cina.

Pechino ha investito 15 miliardi di dollari per lo sviluppo del principale porto e delle infrastrutture collegate. L’82% del debito estero è detenuto da Pechino e in caso di inadempienza, Gibuti potrebbe cedere ai cinesi il controllo del proto strategico di Doraleh, all’ingresso del Mar Rosso e del Canale di Suez. Gibuti è solo un esempio, ma ci sono altri paesi – la Repubblica del Congo e lo Zambia – dove i prestiti cinesi sono il principale fattore di rischio del debito. La diplomazia della trappola del debito è ciò che preoccupa sopra ogni altra cosa. Il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale sono allarmati del fatto che i prestiti cinesi aumentano il debito africano, raddoppiato in cinque anni e detenuto da Pechino per il 14%, in una relazione squilibrata. E nel 40% dei paesi sub-sahariani a basso reddito il debito sta crescendo. Quella del debito estero, inoltre, è una guerra aperta tra Cina e Stati Uniti. Il segretario di Stato americano per gli affari con l’Africa, Tibor Peter Nagy, recentemente ha ammonito gli stati africani: chi non sarà in grado di ripagare i debiti contratti, soprattutto con la Cina, non creda che l’Occidente venga in loro soccorso. Ma evidentemente questi moniti hanno poco peso. Per tornare a quella che potrebbe essere la moneta, nel 2020, della Cedeao, l’Eco, occorre sottolineare che il Ghana è il principale partner commerciale della Cina nell’area: il commercio bilaterale è passato da meno di 100 milioni di dollari nel Duemila a 6,7 miliardi nel 2017. La metà della massa monetaria della comunità economica dell’Africa Occidentale circola in Costa d’Avorio e il 40% delle merci viene esportata attraverso il porto di Abidjan. Nel Duemila il debito nei confronti della Cina era pari a zero, tra il 2010 e il 2015 è diventato di 2,5 miliardi di dollari.

 

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