Cina: dal piano quinquennale all’egemonia dell’IA

di Pasquale Preziosa

Nel giugno 2025, la Cina ha segnato un punto di svolta nella propria traiettoria tecnologica e industriale: il presidente della National Development and Reform Commission (NDRC), Zheng Shanjie, ha incontrato i rappresentanti di cinque aziende private high-tech per raccogliere contributi strategici alla definizione del quindicesimo Piano Quinquennale (2026-2030). L’obiettivo dichiarato: “sviluppare nuove forze produttive di qualità” attraverso l’innovazione scientifica e tecnologica.

Questa consultazione, apparentemente tecnica, assume un peso geopolitico enorme se vista in prospettiva. A monte c’è la volontà – già espressa nel 2017 e ribadita con forza da Xi Jinping – che la Cina diventi leader mondiale nell’intelligenza artificiale entro il 2030. Il quinquennio 2025-2030 sarà, dunque, il momento decisivo per trasformare un’ambizione in realtà.

All’incontro con la NDRC hanno partecipato cinque aziende altamente rappresentative:

  • Moore Threads per GPU e semiconduttori, locata a Pechino
  • Ant Group per fintech, ubicata a Zhejiang
  • BGI Genomics per bioinformatica, locata a Guangdong
  • Yinjinda New Materials per i materiali avanzati, situata presso Henan
  • Sevnce Robotics per la robotica e l’IA, con sede a Chongqing

Queste realtà incarnano le direttrici dello sviluppo strategico cinese: microelettronica, cloud, genomica, materiali rari e intelligenza artificiale. Non a caso, sono state scelte per coprire le quattro macroregioni del Paese, a testimonianza della volontà di rendere l’innovazione un fattore di coesione nazionale e non solo un asset competitivo.

Il governo ha promesso iniziative politiche mirate a supportare le imprese in termini di capitale, dati, energia e talento. L’obiettivo non è solo crescere, ma aggirare le strozzature sistemiche imposte da anni di restrizioni statunitensi sulle tecnologie critiche.

Secondo Chris Miller, autore del saggio Chip War, la competizione per il dominio tecnologico nel XXI secolo non si gioca solo sulla quantità di chip prodotti, ma sul controllo delle architetture che rendono possibile l’intelligenza artificiale: ovvero GPU, data center, framework neurali, ecosistemi software. E in questa partita, Pechino ha compreso che non basta investire in R&S statale, ma occorre mobilitare anche il settore privato.

Sempre secondo Miller, Taiwan, Corea del Sud, Stati Uniti e Paesi Bassi hanno dominato per anni l’industria dei semiconduttori grazie a una combinazione di ingegneria di precisione, software proprietari e supply chain iper-specializzate. La Cina, al contrario, è stata per lungo tempo un colosso della domanda ma un nano nella produzione. Il blocco dell’accesso ai macchinari ASML per la litografia EUV ha dimostrato quanto profonda sia la dipendenza tecnologica di Pechino.

Per rispondere a questa sfida, Pechino ha adottato una strategia multi-livello:

  • il Piano “Made in China 2025” per localizzare e nazionalizzare l’intera filiera produttiva in settori strategici
  • gli investimenti pubblici massicci nei National AI Innovation Centers
  • la costruzione di infrastrutture cloud-native per l’elaborazione di Big Data e il training di modelli IA di larga scala
  • infine, la mobilitazione del settore privato per creare un tessuto innovativo diffuso, come dimostra il recente incontro della NDRC

È da considerare che, nella logica cinese, la tecnologia non è un fine, ma un moltiplicatore di potere: ogni chip “avanzato” è un nodo di influenza. Dominare l’intelligenza artificiale significa dominare il futuro delle guerre, della finanza, della medicina e della società stessa.

Il rafforzamento delle politiche industriali statunitensi sotto le amministrazioni Trump e Biden – dal CHIPS and Science Act all’IRA (Inflation Reduction Act), fino alla strategia del “friendshoring” – ha spinto Pechino a passare da una visione incrementale a una strategia integrata e di lungo periodo.

La Cina non si accontenta più di replicare modelli altrui: punta ora a guidare la traiettoria tecnologica globale, soprattutto nei settori a più alta intensità cognitiva.

La “guerra dei chip” non è una semplice guerra industriale, ma una competizione sistemica tra modelli di potere: da un lato quello liberaldemocratico americano, fondato su ecosistemi aperti e imprese leader globali; dall’altro quello autoritario cinese, basato sulla pianificazione strategica, il controllo verticale e la mobilitazione nazionale.

Il 2030 rappresenta la deadline fissata da Xi Jinping per conquistare la supremazia mondiale nell’intelligenza artificiale. Il nuovo Piano Quinquennale sarà il veicolo politico, economico e tecnologico per trasformare questa ambizione in realtà.

Ma nello sviluppo di una geostrategia tecnologica non basta fissare un obiettivo: servono tecnologie abilitanti, reti globali, capitale umano specializzato e fiducia istituzionale. La Cina sta cercando di colmare questi gap sfruttando la leva del settore privato, ma la sfida resta aperta.

L’Occidente farebbe bene a osservare non solo la rapidità con cui la Cina avanza, ma soprattutto come sta trasformando l’innovazione tecnologica in potere geopolitico. La corsa all’intelligenza artificiale non è una gara tra laboratori: è una sfida tra visioni del mondo.

Pasquale Preziosa
Membro esperto del Comitato scientifico Eurispes
Docente di Geostrategia

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