Cina e Artico, nuova frontiera della Belt and Road Initiative, tra espansione tecnologica e ambizione geopolitica

di Pasquale Preziosa

Negli ultimi anni, la Repubblica Popolare Cinese ha intensificato in maniera significativa la propria proiezione strategica nell’Artico, riconoscendo in tale regione non solo un’opportunità economica emergente, ma anche una piattaforma geopolitica cruciale per l’estensione della propria influenza globale. Questa tendenza si colloca all’interno della più ampia cornice della Belt and Road Initiative (BRI), alla quale è stata integrata formalmente la cosiddetta Via della Seta Polare.

Un elemento centrale di questa strategia è rappresentato dallo sviluppo accelerato delle tecnologie di rilevamento sottomarino, funzionali sia al monitoraggio ambientale sia alla sorveglianza strategica. In questo ambito, la Cina si distingue per la rapidità e la sofisticazione delle sue innovazioni. Un gruppo di ricerca dell’Università di Ingegneria di Harbin ha recentemente messo a punto un sistema acustico di discriminazione della profondità, capace di identificare con un’accuratezza del 93% obiettivi sottomarini e con il 100% le unità di superficie, anche in condizioni operative complesse come quelle del Mare
di Beaufort, regione strategica e risorsa contesa alle soglie dell’Alaska. Come osserva Lin Zhiyuan, analista presso l’Istituto di Studi Oceanici di Shanghai, «tale progresso segna un punto di svolta nella capacità cinese di operare in ambienti marittimi ostili, rafforzando il posizionamento di Pechino in un’area tradizionalmente dominata da attori atlantici».

Dal 2018, anno della pubblicazione del primo Libro Bianco sulla politica artica, la Cina ha codificato ufficialmente l’Artico come spazio strategico integrato nella BRI. Tale scelta riflette non solo l’interesse per nuove rotte commerciali — rese più accessibili dallo scioglimento dei ghiacci dovuto ai mutamenti climatici — ma anche la volontà di presidiare un’area ricca di risorse energetiche e minerarie, nonché potenzialmente sensibile in termini di equilibrio militare.
L’Artico consente rotte navali più brevi tra i porti industriali dell’Asia orientale e quelli dell’Europa settentrionale, con una conseguente riduzione dei costi logistici e del tempo di transito. Questo spiega l’intensificazione degli investimenti cinesi in infrastrutture polari e piattaforme scientifiche dual-use. È emblematico, a questo riguardo, il ruolo dell’11ª spedizione artica cinese del 2020, formalmente incentrata sul monitoraggio del cambiamento climatico ma funzionale anche alla raccolta di dati utili allo sviluppo di tecnologie acustiche a “doppio condotto”, in grado di intercettare segnali a diverse
profondità attraverso l’impiego di array passivi di sensori. Questa sinergia tra ricerca scientifica e finalità strategiche configura un tipico approccio dual-use, attraverso cui Pechino legittima la propria presenza sotto l’egida della cooperazione internazionale, mentre consolida capacità con potenziali implicazioni militari.

Tali dinamiche si collocano all’interno di un più ampio disegno che mira a ridefinire l’ordine marittimo e ad alterare i tradizionali equilibri di deterrenza sottomarina. Il Mare di Beaufort, teatro dei test della nuova tecnologia cinese, rappresenta un caso di studio emblematico: ricco di risorse energetiche offshore (petrolio, gas naturale e terre rare), esso è conteso tra Canada e Stati Uniti ed è oggi al centro di un’attenzione strategica crescente. L’abilità della Cina di operare e monitorare in tale spazio potrebbe
incidere profondamente sulle posture operative statunitensi, storicamente fondate su una
netta superiorità subacquea.

Come ha sottolineato Wang Jisi, docente di relazioni internazionali presso l’Università di Pechino, «l’Artico costituisce una delle ultime aree in cui le grandi potenze stanno ridefinendo le proprie sfere di influenza». In tale contesto, l’impegno cinese assume la forma di un’espansione fluida e multidimensionale — infrastrutturale, tecnologica, diplomatica e militare — coerente con l’obiettivo dichiarato di trasformare la Cina in una maritime great power.
Con la progressiva estensione della propria flotta di rompighiaccio (tra cui il Xue Long 2) e un’intensa attività diplomatica nei fori multilaterali artici, Pechino mira a consolidare una posizione di influenza in un’area dalla quale è geograficamente esclusa ma alla quale si avvicina simbolicamente attraverso l’identità di “quasi-Stato artico”, già rivendicata nel documento politico del 2018.
Le recenti innovazioni tecnologiche nel campo del rilevamento sottomarino non costituiscono un’eccezione, ma un tassello coerente di questa traiettoria. Esse forniscono alla Cina strumenti operativi avanzati per sostenere la propria presenza e influenza nella regione, accentuando il carattere strategico della sua postura artica. Per gli Stati Uniti e i loro alleati all’interno del Consiglio Artico, questi sviluppi sollevano interrogativi pressanti in merito alla stabilità dell’area e alla sostenibilità degli attuali equilibri di potere. In un contesto globale segnato dal ritorno della competizione tra grandi potenze, l’Artico si configura sempre più come una piattaforma emergente di confronto sistemico, nella quale la superiorità tecnologica e la capacità di adattamento strategico definiranno le logiche del futuro ordine polare.

Pasquale Preziosa
già Capo di Stato Maggiore AM, oggi esperto del Comitato Scientifico dell’Eurispes e professore universitario di geostrategia.

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