Debiti PA, Zabeo: “bisogna compensare debiti e crediti”

La CGIA ritorna sul tema dei debiti commerciali della Pubblica Amministrazione (PA) nei confronti delle imprese e – dopo aver accostato  il pagamento con i minibot a una cambiale che rischia di non essere nemmeno coperta –  avanza una soluzione. A comunicarla è il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo: “Bisogna consentire la compensazione diretta e universale tra debiti e crediti verso la PA. Ciò permetterebbe agli imprenditori interessati di ritrovare quella liquidità che, anche a causa del perdurare della stretta creditizia praticata dalle banche, sta mettendo a dura prova la tenuta finanziaria di moltissime Pmi”.

Esempio: un imprenditore veneto ha un credito, nei confronti di una ULSS del Lazio, certo, liquido ed esigibile di 100 euro. A seguito di questo mancato pagamento entro i termini previsti dalla legge, l’imprenditore può, in sede di versamento dell’acconto Ires, ad esempio, stornare i 100 euro dalla somma che deve all’Erario. Successivamente, sarà il fisco a recuperare il mancato gettito, “rifacendosi” nei confronti dell’ULSS ritardataria.

E a preoccupare il milione di aziende private italiane che lavora per la PA non sono solo i crediti non riscossi, ma anche le nuove modalità di pagamento introdotte nella scorsa legislatura.

Dal 2015 ha fatto il suo “debutto” lo split payment. Questa misura obbliga le Amministrazioni centrali dello Stato (e dal 1° luglio 2017 anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) a trattenere l’Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all’erario. L’obbiettivo è stato quello di contrastare l’evasione fiscale, ovvero evitare che, una volta incassato il corrispettivo dal committente pubblico, l’impresa privata non versi al fisco l’imposta sul valore aggiunto.

“La nostra PA – sostiene il segretario Renato Mason – non solo paga con grave ritardo, ma quando lo fa non versa più l’Iva al proprio fornitore. Pertanto, le imprese che lavorano per lo Stato, oltre a subire tempi di pagamento spesso irragionevoli, scontano anche il mancato incasso dell’Iva che, pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare i pagamenti correnti”.

Il meccanismo, sicuramente efficace nell’impedire che l’imprenditore disonesto non versi l’Iva all’erario, ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l’evasione, invece, nulla hanno a che fare. Vale a dire la stragrande maggioranza del milione di imprese italiane che lavora per la PA.

Tornando allo stock del debito, secondo la stima riportata nella “Relazione annuale 2018”, presentata la settimana scorsa dal Governatore della Banca d’Italia, l’ammontare complessivo dei debiti commerciali della nostra Pubblica Amministrazione (PA) sarebbe pari a 53 miliardi di euro  . In calo, rispetto al 2017, di  4 miliardi.

L’utilizzo del condizionale, comunque, è d’obbligo, visto che la periodica indagine condotta dai ricercatori di via Nazionale si basa su indagini statistiche, condotte sulle imprese, e dalle segnalazioni di vigilanza da cui emergono dei risultati che, secondo gli stessi estensori delle stime, sono caratterizzati da un elevato grado di incertezza  . Insomma oltre a pagare enormemente in ritardi in violazione alle disposizioni di legge, lo Stato non conosce a quanto ammonta precisamente il debito commerciale nei confronti delle proprie aziende fornitrici.

Ricordiamo che nel 2017 le Amministrazioni pubbliche italiane necessitavano in media 95 giorni per saldare le loro fatture. A fronte di questa situazione, la Commissione nel dicembre del 2017 ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia dell’UE, ribadendo il sistematico ritardo con cui le amministrazioni pubbliche italiane effettuano i pagamenti nelle transazioni commerciali, in violazione delle norme dell’UE in materia di pagamenti.

E nonostante ciò, la situazione è leggermente peggiorata. Secondo gli ultimi dati relativi alla periodica indagine condotta da Intrum  Justitia, nel 2018 la nostra PA ha saldato i propri fornitori mediamente dopo 104 giorni: più del doppio della media europea che, invece, paga dopo 41 giorni.

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