L’Italia punta a raggiungere il 2% del PIL in spesa militare senza sforare i vincoli del Patto di Stabilità, mentre valuta l’utilizzo del fondo europeo Safe. Giorgetti predica cautela in attesa del summit Nato di giugno, che potrebbe fissare un nuovo obiettivo al 3,5%. Intanto Meloni si prepara all’incontro con Trump: sul tavolo gas e armi made in USA, nel tentativo di evitare la guerra commerciale avviata con i dazi americani
di Emanuela Ricci
L’Italia si trova in una fase di equilibrio delicato tra le richieste di rafforzamento militare imposte dall’Alleanza Atlantica e la necessità di mantenere saldi i conti pubblici, in un’Europa ancora vincolata al Patto di Stabilità. A lanciare un messaggio di prudenza è stato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, secondo cui l’obiettivo del 2% del PIL in spesa per la difesa sarà raggiunto, ma senza ricorrere — almeno per ora — alla cosiddetta “clausola di salvaguardia”. Questa misura, prevista nei regolamenti europei, permetterebbe di sforare temporaneamente i vincoli di bilancio per fronteggiare situazioni straordinarie come la guerra in Ucraina o gli obblighi Nato, ma l’Italia preferisce attendere.
Tutto è rimandato a giugno, quando si terrà il vertice Nato in cui verrà discusso un possibile nuovo target del 3,5% del PIL per la spesa militare. Una soglia che appare al momento difficile da raggiungere per molti Paesi europei, Italia compresa, senza pesare in modo significativo su deficit e debito. Proprio per questo, Roma si prepara a negoziare con Bruxelles una posizione che tenga conto delle specificità nazionali.
Intanto, l’Italia guarda anche all’Europa per finanziare le sue strategie di difesa. Giorgetti ha annunciato che il governo sta valutando la possibilità di accedere al fondo Safe (Support to defence and readiness effort), uno strumento europeo che potrebbe mettere a disposizione fino a 150 miliardi di euro per potenziare l’industria militare. Tuttavia, restano divergenze significative tra i membri dell’Unione: alcuni vorrebbero utilizzare quei fondi anche per gli investimenti civili o il green deal, mentre altri — come l’Italia — chiedono criteri di accesso più flessibili, in modo da compensare le diverse condizioni economiche tra Nord e Sud Europa.
Ma i dossier più caldi non arrivano solo da Bruxelles. A preoccupare Palazzo Chigi sono anche le tensioni commerciali con gli Stati Uniti. Donald Trump ha già annunciato l’intenzione di reintrodurre pesanti dazi sull’import europeo, in particolare sul settore automobilistico e sull’agroalimentare. Una mossa che ha scatenato la reazione delle capitali europee: se la Commissione UE ha promesso una risposta “proporzionata”, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha definenito l’iniziativa americana “profondamente sbagliata”.
Nonostante la critica formale, Roma non intende chiudere la porta al dialogo. Anzi, proprio per scongiurare una guerra commerciale che potrebbe colpire duramente il Made in Italy, Meloni ha avviato una strategia di avvicinamento a Washington. Il 17 aprile è previsto un vertice bilaterale con Trump, durante il quale l’Italia potrebbe offrire maggiori acquisti di gas liquefatto e armamenti statunitensi come gesto distensivo, scrive Corsera. Si tratta, in sostanza, di un tentativo di usare la leva commerciale per evitare l’escalation dei dazi.
L’obiettivo del governo italiano è duplice: da un lato assicurare il proprio impegno in ambito Nato e rafforzare il ruolo internazionale del Paese, dall’altro evitare che tale impegno si traduca in nuove tensioni economiche con partner strategici come gli Stati Uniti. Un equilibrio complesso, che nei prossimi mesi metterà alla prova la capacità diplomatica e politica dell’esecutivo.
Nel frattempo, crescono le pressioni anche all’interno: l’industria bellica italiana spinge per maggiori investimenti, mentre sindacati e opposizioni chiedono che ogni aumento delle spese militari sia compensato da investimenti sociali e infrastrutturali. Il dibattito è aperto e destinato a infiammarsi nei prossimi mesi, tra bilanci da approvare, vertici internazionali e alleanze da rafforzare. L’Italia, intanto, cammina sul filo sottile della diplomazia economica e militare.
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