Ex ambasciatore pakistano all’Onu, Islamabad prenda a modello la Corea del Nord 

   

Secondo quando riferisce Nova, il Pakistan non concorda con la strategia dell’amministrazione presidenziale Usa di Donald Trump per l’Afghanistan, non intende combattere la guerra afgana sul proprio territorio e continuerà ad opporsi a una espansione del ruolo dell’India in quel paese”, e per questa ragione farebbe meglio a prepararsi ad un ulteriore peggioramento delle relazioni con gli Stati Uniti. A scriverlo, in un editoriale pubblicato dal quotidiano pakistano “Dawn”, è Munir Akram, ex ambasciatore pakistano presso le Nazioni Unite, che citando espressamente a modello la Corea del Nord sollecita Islamabad a perseguire senza remore un ulteriore rafforzamento del proprio deterrente balistico e nucleare. “Anche se il Pakistan e gli Stati Uniti fossero in grado di riconciliare le loro posizioni divergenti in merito all’Afghanistan – scrive Akram – difficilmente gli allineamenti strategici emergenti che daranno forma alle politiche nell’Asia potranno cambiare”. Gli Stati Uniti, sottolinea l’ex ambasciatore, “hanno scelto l’India come principale partner strategico regionale per contrastare la potenza ascendente della Cina”, e “la conseguente escalation della minaccia indiana alla sicurezza del Pakistan appare irrilevante per gli Usa”, o addirittura “parte del loro piano strategico per indebolire l’opposizione pakistana al dominio regionale indo-statunitense”. Queste dinamiche, sottolinea Akram, trovano conferma nella recente visita a Nuova Delhi del segretario della Difesa Usa, James Mattis. Di qui la conclusione dell’autore dell’editoriale: “la capacita’ del Pakistan di resistere ai diktat indiani e esprimere il proprio disaccordo con la panificazione strategica degli Stati Uniti gli deriva principalmente da una fonte: le sue capacità nucleari e missilistiche”. Senza i suoi programmi balistico e nucleare, prosegue Akram, il Pakistan “sarebbe già stato attaccato come l’Iraq o sanzionato come l’Iran”. Questa teoria troverebbe una conferma, secondo l’autore dell’editoriale, proprio nella situazione della Corea del Nord, che “nonostante il suo isolamento, è stata in grado di tener testa agli Stati Uniti tramite le sue dimostrazioni di potenza nucleare e balistica”. Non è un caso, secondo l’ex ambasciatore, che gli Stati Uniti “abbiano sempre tentato di ritardare o invertire i programmi nucleare e missilistico di Islamabad, anche quando il Pakistan era un loro stretto alleato”. Akram rivolge un’ulteriore accusa a Washington: gli Usa stanno assistendo l’India nell’ampliamento ed ammodernamento del suo arsenale nucleare, delle sue capacità missilistiche e anti-balistiche, delle sue forze aeree e navali, oltre che delle capacita’ satellitari e spaziali, ed esistono rapporti credibili e non troppo segreti secondo cui gli Usa hanno approntato un piano per sequestrare o distruggere le armi atomiche pakistane in caso di crisi”. Qualunque scenario di conflitto tra India e Pakistan, ricorda l’autore dell’editoriale, “conferma la probabilità di una rapida escalation del conflitto a livello nucleare, data l’asimmetria delle forze convenzionali” sul campo. Una guerra, dunque, dovrebbe costituire un esito inimmaginabile, “eppure le leadership politica e militare indiana continuano a parlare di ‘attacchi chirurgici’ e ‘conflitti limitati’ contro il Pakistan”. Se l’India decidesse di intraprendere un conflitto contro il Pakistan, dovrebbe prima condurre attacchi preventivi contro la deterrenza nucleare di Islamabad, affidandosi sulla consistente intelligence raccolta dagli Usa o alla loro assistenza militare diretta. Gli asset nucleari pakistani, però, sono troppo numerosi, ben protetti e disseminati sul territorio, sostiene Akram, che dunque ribadisce la propria opinione: la deterrenza nucleare è l’ultima garanzia del Pakistan contro le coercizioni e le aggressioni esterne”, e per questo motivo Islamabad “deve adottare molteplici misure per garantire che tale deterrente rimanga credibile.