di Pasquale Preziosa
Nel XXI secolo, l’energia non è più soltanto una questione tecnica o ambientale: è una leva di potere, una chiave della sovranità e un parametro strategico che definisce la posizione delle nazioni nel nuovo ordine globale. In questo scenario, la recente edizione del World Energy Investment 2025 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) descrive un mondo in rapida trasformazione, segnato da investimenti record che superano i 3,3 trilioni di dollari e da una crescente polarizzazione tra due modelli contrapposti: quello cinese, orientato al dominio industriale e tecnologico, e quello europeo, incentrato su regole e sostenibilità ma indebolito da fragilità strutturali.
A quasi dieci anni dalla prima edizione del rapporto, la Cina si conferma il primo investitore globale in energia, superando di fatto la somma degli investimenti combinati di Stati Uniti e Unione Europea. La sua quota nell’energia pulita è passata dal 25% al 33% in un solo decennio. Un primato costruito attraverso una strategia sistemica fondata su tre direttrici principali:
- investimenti massicci in solare, eolico, nucleare, idroelettrico, batterie e veicoli elettrici;
- controllo delle catene di approvvigionamento dei materiali critici, come litio, cobalto e terre rare;
- sviluppo di tecnologie abilitanti, tra cui il quantum computing, già sperimentato a livello satellitare con il progetto MICIUS (MOCI), che prefigura una rete di gestione energetica autonoma e sicura.
In questo quadro, Pechino non si limita a seguire la transizione energetica, ma la plasma secondo interessi strategici nazionali, trasformandola in un asset di potere globale.
L’Europa si presenta come campione delle politiche climatiche e della decarbonizzazione, promuovendo target vincolanti e strumenti finanziari per la transizione verde. Tuttavia, il modello europeo mostra tre limiti strutturali:
- forte dipendenza tecnologica e materiale, in quanto importa gran parte dei materiali critici necessari per le sue tecnologie verdi, in particolare dalla Cina;
- debolezza industriale, poiché l’integrazione tra ricerca, produzione e distribuzione energetica è frammentaria e diseguale tra i Paesi membri;
- insufficienza infrastrutturale: nonostante gli investimenti nella generazione elettrica siano in forte crescita, quelli nelle reti (circa 400 miliardi di dollari/anno) non tengono il passo, minando la sicurezza e la resilienza del sistema.
L’Europa rischia dunque di essere una Potenza regolatrice senza potere, attore normativo ma non industriale, proprio mentre il mondo premia la capacità di integrare tecnologia, risorse e produzione.
La guerra in Ucraina ha accelerato la crisi del modello europeo. Fino al 2022, l’Unione beneficiava di forniture russe di gas e petrolio a basso costo, che alimentavano l’industria manifatturiera e abbassavano il costo dell’energia. Con il conflitto, questa dipendenza è diventata insostenibile, e la Russia ha riorientato il proprio asse strategico verso la Cina.
Mosca ha intensificato la costruzione di infrastrutture energetiche orientate all’Asia (come il gasdotto Power of Siberia) e siglato accordi preferenziali con Pechino, sottraendo all’Europa un vantaggio competitivo fondamentale.
Il risultato è stato duplice:
- l’Unione Europea ha dovuto ricorrere a forniture più costose e instabili, soprattutto attraverso il GNL proveniente dagli Stati Uniti e da altri fornitori globali;
- la Cina ha rafforzato la propria sicurezza energetica, beneficiando di un alleato strategico e di un flusso energetico a condizioni favorevoli.
Questa dinamica ha consolidato l’asse geoeconomico russo-cinese, indebolendo la posizione dell’Europa nel contesto multipolare.
Secondo la IEA, il mondo si sta avviando verso una “Nuova Età dell’Elettricità”: per la prima volta, gli investimenti in elettricità (produzione, reti, accumulo) superano del 50% quelli nei combustibili fossili. Tuttavia, questa trasformazione non è neutrale, in quanto chi controlla le materie prime critiche (come rame, nichel, litio), chi sviluppa le tecnologie chiave e chi domina la catena del valore determinerà i futuri equilibri globali.
La Cina ha costruito nel tempo una posizione di forza attraverso la strategia della Belt & Road, mentre l’Europa è ancora priva di una reale autonomia strategica, pur avendo elaborato il Critical Raw Materials Act come risposta normativa. Tuttavia, senza un’azione industriale coordinata e una visione di lungo periodo, rischia di trovarsi subordinata alla tecnologia e alle risorse controllate da altri, nonostante il suo primato nella regolazione.
La transizione energetica sarà una prova cruciale per il futuro dell’ordine mondiale: una transizione verso la sostenibilità, ma anche una transizione del potere. La Cina ha scelto la via dell’egemonia industriale. L’Europa, se vuole restare rilevante, dovrà andare oltre la sola governance climatica e costruire una vera politica industriale dell’energia, capace di integrare investimenti, tecnologia e sicurezza. Solo così potrà affrontare la nuova età dell’elettricità da protagonista, e non da periferia.
Pasquale Preziosa – Membro esperto del Comitato scientifico Eurispes – Docente di Geopolitica e Geostrategia
PER LA TUA PUBBLICITA’ SCRIVI A: info@prpchannel.com
Subscribe to our newsletter!