Libia, al Sarraj, isolato: “La settima brigata verso Tripoli”

A Tripoli sono ripresi gli scontri dopo settimane di silenzio in un momento nel quale il premier del Governo di accordo nazionale libico, Fayez al Sarraj, appare sempre più debole mentre seppur lentamente il suo rivale, il generale Khalifa Haftar, rafforza le posizioni in Cirenaica e cerca di allargare la sua influenza nel sud occupando alcuni quartieri di Sebha. Sarraj è considerato dagli analisti locali sempre più in un angolo non solo per le pressioni esercitate dalle milizie non allineate, come la Settima brigata di Fanteria di Tarhuna, considerata una spina nel fianco e possibile alleata di Haftar, ma anche per le critiche mosse da alcuni membri del Consiglio di presidenza che denunciano la sua autoreferenzialità nella gestione del potere e in particolare delle nomine ministeriali. Lo riporta l’Agenzia di stampa italian Nova.

Gli scontri a fuoco iniziati ieri mattina nella parte sud di Tripoli erano nell’aria da qualche giorno. La Settima brigata di fanteria (formazione originaria di Tarhuna), aveva chiesto al premier Sarraj di fermare le milizie armate e imporre loro di rispettare le regole di sicurezza concordate per la capitale Tripoli. In una nota la Settima brigata ha addebitato a Sarraj “la responsabilità di qualsiasi escalation possa avvenire alla luce delle tensioni che si registrano nella parte sud di Tripoli”. Una volta iniziate le prime scaramucce, la Settima brigata ha compiuto lievi progressi nei confronti delle milizie delle Forze di difesa della capitale libica, che fanno parte dell’apparato di sicurezza del Governo di accordo nazionale libico. Secondo fonti locali, contattate da “Agenzia Nova”, sono state usate le armi pesanti da ambo le parti questa mattina nelle vie di Qasr Bin Ghashir. Il traffico in quell’area e ferme sono anche le attività scolastiche e degli uffici pubblici. Anche ora, come negli scontri avvenuti tra le stesse milizie lo scorso settembre, l’oggetto del contendere sembra essere l’ex Aeroporto internazionale di Tripoli, chiuso ormai da anni sostituito da quello di Mitiga. Si tratta di un obiettivo strategico per le milizie rivali e in particolare per quelle di Tarhuna.

Le Forze di protezione di Tripoli, che fanno capo alle forze di sicurezza ufficiali della capitale libica, hanno annunciato invece di aver respinto un attacco armato da parte di una milizia, senza specificare di quale gruppo si tratti. “Abbiamo condotto delle attività volte a impedire che questo gruppo provocasse danni alle persone e ai beni pubblici e privati”, si legge in una nota. La milizia in questione “non ha rispettato l’ordine di ritirarsi dalla città e di uscire al di fuori dei confini amministrativi di Tripoli”. Oggi, nel secondo giorno di scontri con sei morti e nove feriti sul campo, prosegue lo scambio di accuse tra le parti. Le Forze speciali di deterrenza (Rada) del quartiere tripolino di Abu Salim hanno accusato la Settima brigata di aver violato la tregua provocando i nuovi scontri che da ieri interessano la parte sud della capitale libica . Con una nota sul proprio profilo Facebook, le forze Rada affermano che “la tregua sponsorizzata dall’Onu è stata rotta dal gruppo che minaccia la sicurezza della capitale”. Si aggiunge inoltre che “le Forze di protezione di Tripoli hanno respinto l’attacco subito dalla parte sud di Tripoli e hanno costretto gli aggressori a ritornare nelle postazioni precedenti”. Le forze Rada di Abu Salim hanno infine annunciato la morte di tre dei propri uomini, che hanno combattuto tra le fila della Forza di protezione di Tripoli, negli scontri di ieri.

La Settima brigata, da parte sua, ha accusato la missione Onu in Libia (Unsmil) di “essere responsabile dell’atteggiamento ostile delle milizie assunto nella zona di Warshfana”. Secondo quanto si legge in una nota sugli scontri iniziati ieri nella parte sud di Tripoli, la Settima brigata garantisce di aver “rispettato a pieno nel corso di questo periodo che va dalla firma del cessate il fuoco avvenuta a ottobre a Zawiya e controfirmata dal Consiglio di presidenza con la sponsorizzazione della missione Onu, tutti gli impegni presi”. Per questo la Settima brigata addossa alla Unsmil “in quanto sponsor della tregua la responsabilità di quanto accaduto ieri”.

Intanto la missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia “condanna fermamente la recente mobilitazione militare a sud di Tripoli e sta monitorando da vicino la situazione”. Unsmil mette in guardia le parti contro ogni violazione dell’accordo di cessate il fuoco concluso il 4 ottobre 2018, che compromette la stabilità nella capitale e, soprattutto, mette a repentaglio la vita dei civili e delle loro proprietà. La missione sottolinea che ognuna delle parti che da’ il via a uno scontro sarà ritenuta pienamente responsabile. L’Unsmil afferma che prenderà le misure necessarie e valuterà tutte le misure possibili sulla base degli sviluppi futuri sul terreno al fine di scoraggiare tali eventi, che sono condannati in modo inequivocabile. Inoltre, la Missione ricorda a tutte le parti in Libia che ogni attacco diretto o indiretto contro i civili, le loro proprietà e le strutture pubbliche costituisce una grave violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani.

Il capo della Brigata dei rivoluzionari di Tripoli, Atif Bou Raqiq, ha invece accusato la politica nella capitale per gli scontri in corso nella parte sud della città. Parlando all’emittente televisiva “Libya al Ahrar”, il capo delle milizie fedeli al Governo di accordo nazionale libico ha spiegato che “la causa dei nuovi scontri a Tripoli risiede nella mancanza di un accordo vero sui problemi che ci sono tra i vari gruppi”. In particolare “l’accordo di Zawiya dello scorso settembre, sponsorizzato dalla missione Onu (Unsmil), ha visto applicato un solo articolo: quello sulla necessità di far ritornare le milizie nelle postazioni originarie”.

Al momento il mondo politico libico tace sulla nuova crisi scoppiata a Tripoli. L’unica voce che si registra è quella del figlio del defunto colonnello libico Muammar Gheddafi, Saif al Islam, che ha lanciato un appello per “accelerare il processo elettorale e andare a elezioni presidenziali e politiche in modo da porre fine al caos in Libia”. Nel condannare gli scontri di Tripoli tra le milizie rivali, Saif al Islam ritiene sia necessario “accelerare il processo che porta al fissare una data per le elezioni e mettere la questione nelle mani del popolo in modo che possa scegliere un governo e un capo in grado di unificare le istituzioni del paese e porre fine al caos e fermare le violenze”. Saif al Islam ha parlato all’emittente televisiva “al Arabiya” tramite il suo portavoce, Mohammed al Qilushi.

Se Seif al Islam esce sempre più allo scoperto in campo mediatico, Haftar allarga il suo dominio sul terreno. Le sue forze dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) sono entrate nella base aerea di Tamhanint, vicino Sebha, nel sud della Libia, per preparare la battaglia finale con le milizie ribelli ciadiane che si trovano nella zona. Secondo quanto riporta il sito libico “Address Libya”, i primi militari di Haftar sono entrati in alcuni quartieri di Sebha per espellere le milizie ciadiane e ciò che resta dei gruppi jihadisti loro alleati. Le forze di Haftar hanno inviato rinforzi nel sud della Libia dopo che, nelle ultime 48 ore, ci sono stati violenti scontri a fuoco con i ribelli ciadiani lungo il confine meridionale della Libia.

Tutto questo mentre non si registrano reazioni da parte di Sarraj, sempre più isolato politicamente. In particolare da quando tre membri del Consiglio di presidenza del Governo di accordo nazionale della Libia sostenuto dalle Nazioni Unite – i vicepresidenti Ahmed Maiteeq, Fathi al Majbari e Abdel Salam Kajman – hanno rilasciato nel fine settimana una dichiarazione sul possibile crollo dell’esecutivo da lui guidato. In una lettera indirizzata proprio a Sarraj, i tre esponenti dell’organo esecutivo libico hanno annunciato il proprio rifiuto ad appoggiare un processo decisionale “individuale” che rischia di portare il paese “verso l’ignoto e ad un nuovo scontro armato tra fazioni”. Secondo i tre esponenti del Consiglio presidenziale, gli obiettivi dell’esecutivo in termini di lotta al terrorismo, all’immigrazione illegale e alla crisi economica non sono stati raggiunti a causa “di politiche governative mal concepite e azioni irresponsabili” avviate da Sarraj senza alcuna consultazione condivisa.

Da parte sua, il capo del Consiglio presidenziale, intervistato al riguardo dall’emittente televisiva “Trt” in arabo, ha detto che “ci sono alcuni membri del Consiglio che vogliono portare lo scontro all’interno di questo organismo invece di disinnescarlo”. Per il premier “i consiglieri devono invece operare con saggezza nella gestione di questa fase politica”. Sarraj ha chiesto quindi “di trovare un quadro costituzionale per le elezioni prima che vengano fissate”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, spingendo i tre membri del Consiglio a criticare apertamente Sarraj, sarebbe secondo i media locali la nomina di Suleiman al Shanti a presidente dell’Autorità di controllo amministrativo di Tripoli. Intanto Maiteeq ha incontrato il 14 gennaio l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamé, e il suo vice con delega agli affari politici, la diplomatica statunitense Stephan Williams per discutere proprio di questa crisi che insieme agli scontri di Tripoli potrebbe rappresentare un duro colpo per il futuro di Sarraj.

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