di Emanuela Ricci
Niente di fatto, almeno per ora, sulla tregua di 60 giorni proposta dagli Stati Uniti per fermare temporaneamente le ostilità nella Striscia di Gaza. Il piano, messo sul tavolo dall’inviato speciale della Casa Bianca, Steve Witkoff, e approvato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu secondo quanto riportato da Canale 12, non ha trovato l’immediato consenso di Hamas.
Il movimento palestinese ha fatto sapere, tramite il suo leader in esilio Bassem Naim, che la proposta “non risponde alle richieste del nostro popolo”. Tuttavia, si precisa che non si tratta di una chiusura definitiva. “La leadership sta ancora esaminando la proposta”, ha dichiarato Naim all’agenzia AFP, lasciando intravedere un possibile spiraglio per la ripresa delle trattative.
Secondo quanto riferito da Axios, la delusione di Hamas deriverebbe da una percezione di squilibrio nel piano, giudicato troppo favorevole a Israele rispetto a precedenti proposte. Il giornalista Barack Ravid, scrive Adnkronos, ha evidenziato l’assenza di garanzie americane affinché il cessate il fuoco temporaneo possa trasformarsi in un accordo permanente. Inoltre, non è specificato se, in caso di negoziati prolungati oltre i 60 giorni previsti, la tregua sarà automaticamente estesa o potrà essere violata unilateralmente da Israele, come già accaduto nel mese di marzo.
Nel dettaglio, il piano Witkoff prevede una tregua di 60 giorni, durante i quali avverrebbero due scambi scaglionati: la liberazione di dieci ostaggi israeliani in due fasi, a una settimana di distanza l’una dall’altra. Hamas sarebbe inoltre tenuta a restituire i corpi di 18 ostaggi deceduti, mentre Israele dovrebbe consegnare le salme di 180 palestinesi. È prevista anche la scarcerazione di 125 detenuti palestinesi condannati all’ergastolo e di altri 1.111 abitanti di Gaza arrestati dopo il 7 ottobre.
L’obiettivo dichiarato della proposta è duplice: favorire il rilascio degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e creare le condizioni per una soluzione duratura del conflitto. A tal fine, il piano prevede anche la ripresa della distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia sotto supervisione dell’ONU e di organizzazioni internazionali. L’esercito israeliano, dal canto suo, dovrebbe ritirarsi nelle posizioni precedenti all’inizio della nuova offensiva lanciata lo scorso marzo.
Mentre il governo israeliano ha già dato luce verde alla proposta, il silenzio cauto di Hamas lascia intendere che il processo negoziale non sia ancora del tutto compromesso. Tuttavia, le divergenze sostanziali tra le parti e le ambiguità contenute nel piano rendono fragile qualsiasi prospettiva di immediato cessate il fuoco.
Nel frattempo, a Gaza, la situazione umanitaria continua a peggiorare, con la popolazione civile stretta tra la morsa dei combattimenti e l’assenza di un orizzonte di pace.
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