Domenica scorsa, per la prima volta in oltre 13 mesi, la guerra di Gaza ha visto una tregua ufficiale
di Antonio Adriano Giancane
La notizia ha scatenato reazioni contrastanti da entrambe le parti del conflitto: i residenti palestinesi nella Striscia di Gaza hanno celebrato il cessate il fuoco per le strade, mentre in Israele la popolazione ha accolto con sollievo l’inizio di una possibile fine delle ostilità. Tuttavia, la tregua si è rivelata immediatamente precaria, segnando solo il primo passo di un accordo complesso.
L’accordo, negoziato in Qatar, ha richiesto settimane di mediazione. Hamas ha rilasciato tre ostaggi, mentre Israele ha risposto liberando 90 prigionieri palestinesi (69 donne e 21 minori). Tuttavia, la sua attuazione non è stata priva di tensioni: il ritardo nella trasmissione della lista degli ostaggi da parte di Hamas ha posticipato l’avvio del cessate il fuoco. Durante l’attesa, gli attacchi israeliani hanno causato ulteriori vittime, sottolineando la delicatezza della situazione.
Il cessate il fuoco è entrato in vigore solo alle 11:15 ora locale, seguito dall’arrivo di circa 200 camion carichi di aiuti umanitari al valico di Kerem Shalom. Nei prossimi giorni, l’accordo prevede un aumento delle forniture fino a 600 camion giornalieri, cruciali per alleviare la crisi umanitaria nella Striscia.
Analisti ed esperti sottolineano che l’accordo non rappresenta una soluzione definitiva, ma una tregua costruita su basi instabili. La fiducia reciproca tra le parti è ai minimi storici, con Hamas preoccupato che Israele possa usare la tregua per liberare gli ostaggi più vulnerabili e poi riprendere le operazioni militari. Allo stesso tempo, la leadership israeliana, sotto pressione interna ed esterna, appare divisa sulla gestione dell’accordo.
Il contesto politico israeliano aggiunge ulteriore incertezza. Bezalel Smotrich, figura di spicco della coalizione di governo, ha minacciato di ritirare il suo sostegno se l’accordo dovesse prolungarsi oltre la fase iniziale di sei settimane, dichiarando che la guerra contro Hamas deve continuare fino alla sua distruzione completa. Queste tensioni potrebbero portare a una crisi politica interna con ripercussioni significative sull’accordo.
Un elemento cruciale nella mediazione è stato il coinvolgimento del presidente statunitense entrante, Donald Trump. La sua pressione sul governo israeliano ha spinto Netanyahu ad accettare l’accordo, nonostante le sue dichiarazioni passate di perseguire una vittoria totale contro Hamas. La strategia di Trump, che rivendica il cessate il fuoco come un trionfo diplomatico, potrebbe rivelarsi determinante nel garantire la continuità dell’accordo, ma lascia aperti interrogativi sui suoi obiettivi finali e sull’effettiva capacità di monitoraggio.
Mentre il cessate il fuoco offre un barlume di speranza, rimane vulnerabile a crisi politiche e operative. La mancanza di fiducia tra le parti, le divisioni interne in Israele e l’incertezza sul ruolo internazionale rischiano di compromettere il fragile equilibrio. Come sottolineato da Sanam Vakil di Chatham House, questa tregua richiede monitoraggio continuo e responsabilità da parte di tutte le parti coinvolte. Senza questi elementi, potrebbe trasformarsi in un ulteriore capitolo di tensioni che allontanerebbe la speranza per una pace duratura.
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