Geopolitica della de-escalation tra Israele e Iran: scenari e interessi globali

di Pasquale Preziosa

Nel contesto dell’acuirsi delle ostilità tra Israele e Iran, si sta delineando un possibile percorso verso una soluzione negoziata, frutto non solo delle dinamiche bilaterali ma anche delle complesse interazioni geopolitiche e geostrategiche che coinvolgono gli attori regionali e le grandi potenze. Sebbene le operazioni israeliane abbiano arrecato danni significativi alle infrastrutture nucleari iraniane e ai vertici del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), la prospettiva di un’escalation incontrollata ha mobilitato un fronte eterogeneo di attori statali interessati alla stabilizzazione del quadro mediorientale. 

In primo luogo, l’amministrazione Trump ha espresso con chiarezza la volontà di evitare un conflitto aperto con l’Iran, consapevole dei costi politici e strategici che un coinvolgimento militare comporterebbe. Le divisioni interne alla coalizione trumpiana – tra una fazione isolazionista e una più interventista, legata agli interessi israeliani – rendono politicamente rischioso un impegno diretto, specie in prossimità di un nuovo ciclo elettorale.

Da un punto di vista operativo, la distruzione di siti come l’impianto di arricchimento di Fordow, scavato sotto una montagna, richiederebbe complesse missioni aeree multiple con bombardieri strategici B-2 e l’impiego di ordigni penetranti GBU-57, esponendo i mezzi statunitensi a potenziali risposte iraniane e aprendo la strada a una spirale bellica regionale. Israele, dal canto suo, ha raggiunto gran parte degli obiettivi prefissati: la compromissione degli impianti nucleari, l’indebolimento della capacità missilistica iraniana e la decapitazione parziale della catena di comando dell’IRGC. Questi successi consentono ora a Tel Aviv di considerare un cessate il fuoco senza percepire una perdita netta in termini di deterrenza o superiorità strategica.

Tuttavia, il vero elemento di novità risiede nella convergenza di interessi tra attori regionali e potenze globali a favore della de-escalationL’Arabia Saudita, i Paesi del Golfo, la Turchia e il Pakistan temono che il collasso della Repubblica Islamica possa generare un vuoto di potere che si estenderebbe dallo Hindu Kush al Mediterraneo orientale, trasformando l’Iran in uno “shatter belt” “fault line” geopolitico, ovvero in una fascia di instabilità contigua a teatri già fragili. La composizione multietnica dell’Iran (con significative minoranze azere, curde, baluche e arabe) e la crescente rivalità tra l’IRGC (Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica) e l’Artesh (Esercito Persiano)– l’esercito regolare, recentemente rafforzato dopo la morte del generale Bagheri e l’ascesa del generale Mousavi, accentuano i timori di una frammentazione interna. 

A questo quadro regionale si aggiunge il posizionamento delle grandi potenze. La Russia, tradizionalmente vicina all’Iran sotto il profilo tattico, non auspica un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel teatro mediorientale, poiché ciò comprometterebbe l’equilibrio di potere che Mosca cerca di preservare nella regione. Un intervento americano potrebbe rafforzare la presenza militare statunitense in prossimità dei confini meridionali russi e compromettere i progetti energetici ed eurasiatici di lungo termine di Mosca. 

La Cina, dal canto suo, ha interesse a favorire una stabilizzazione del contesto e una rapida de-escalation, principalmente per ragioni economiche. Pechino è uno dei principali acquirenti del petrolio iraniano, spesso ottenuto a prezzi ribassati a causa delle sanzioni occidentali e punta a mantenere aperti i canali energetici indispensabili per alimentare la propria economia. Inoltre, un Iran destabilizzato metterebbe a rischio la proiezione della Belt and Road Initiative (BRI) nella direttrice sino persiana. 

Secondo quanto riportato da Reuters, si sono intensificati nelle ultime settimane i colloqui tra il rappresentante speciale USA Steve Witkoff e il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi. Al centro di questi contatti vi è la proposta di creare un consorzio regionale per l’arricchimento dell’uranio al di fuori del territorio iraniano, una soluzione che consentirebbe a Teheran di salvare la faccia e a Washington di evitare un’escalation. La disponibilità iraniana, subordinata alla cessazione degli attacchi israeliani, è stata oggetto di discussione nell’incontro con i partner europei a Ginevra (Francia, Germania e Regno Unito).

Si delinea, al momento, una congiuntura favorevole al riavvio del negoziato. Una sede plausibile resta Mascate, in Oman, già utilizzata in passato come piattaforma per canali diplomatici informali tra Stati Uniti e Iran. Un’intesa che garantisca l’accesso pieno dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) al sito di Fordow, congiuntamente all’avvio di un consorzio regionale per l’arricchimento dell’uranio al di fuori del territorio iraniano, potrebbe configurarsi come una soluzione geostrategica di compromesso. Tale compromesso consentirebbe di evitare un conflitto regionale dalle conseguenze potenzialmente destabilizzanti, salvaguardare gli interessi economici e di sicurezza delle principali potenze globali e consolidare il primato dell’Artesh su un IRGC indebolito. Inoltre, favorirebbe una nuova stabilizzazione dell’area mediorientale, in grado di contemperare le esigenze di sicurezza di Israele con gli interessi energetici e geopolitici di Mosca e Pechino.

Pasquale Preziosa – Membro esperto Comitato scientifico Eurispes – Docente di geopolitica e di Geostrategia

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