Il conto alla rovescia per un possibile intervento militare americano contro l’Iran sembra ormai avviato, a raccontare i dettagli Gianluca Di Feo su corsera. Il generale Michael “Erik” Kurilla, comandante delle forze statunitensi in Medio Oriente, ha delineato un dispositivo offensivo senza precedenti nella regione, pronto a entrare in azione nel caso in cui la Casa Bianca dia l’ordine di colpire. Il bersaglio principale? Il sito nucleare di Fordow, un labirinto di tunnel sepolto sotto la montagna, considerato il cuore del programma atomico iraniano.
L’arsenale schierato è imponente. Tre portaerei americane — la Carl Vinson, la Nimitz e la Gerald Ford — sono state dispiegate nell’area, accompagnate da oltre 250 velivoli da combattimento, tra F-35, F-15, F-16, F-22 e F-18, già operativi dalle basi in Israele e nei paesi arabi alleati degli Stati Uniti. È il più grande concentramento di forze aeree statunitensi nella regione da anni. A questo si aggiungono i bombardieri strategici B-52 e soprattutto i B-2 Spirit, i famigerati aerei stealth invisibili ai radar, schierati sull’isola di Diego Garcia. Il loro compito? Portare in volo la MOAB — “Mother of All Bombs” — un ordigno convenzionale da 13 tonnellate capace di penetrare fino a 60 metri di cemento prima di esplodere.
Il generale Kurilla — noto con il soprannome “Gorilla” per i suoi modi energici — ha ottenuto carta bianca dal capo del Pentagono designato da Donald Trump, Pete Hegseth, superando le esitazioni del Capo di Stato Maggiore Dan Caine e del responsabile della strategia militare Elbridge Colby. L’obiettivo dichiarato è impedire che l’Iran sviluppi un’arma nucleare. Un obiettivo che Trump ha ribadito in più occasioni.
Ma la MOAB potrebbe non bastare. I precedenti non giocano a suo favore: nel 2017, contro i tunnel dell’Isis in Afghanistan, l’efficacia fu parziale; nel 1999, la NATO non riuscì a scardinare un hangar corazzato serbo sotto una collina, nonostante un’intensa campagna di bombardamenti. Da qui, l’ipotesi di un’operazione combinata che preveda l’intervento di incursori israeliani supportati dagli USA.
Il piano prevede che unità speciali prendano d’assalto Fordow da terra, seguendo l’esempio dei paracadutisti tedeschi che nel 1940 espugnarono la fortificazione belga di Eben-Emael, considerata inespugnabile. In questo caso, squadre d’assalto prenderebbero il controllo degli accessi, seguite da forze trasportate con aerei Hercules, dotate di mezzi leggeri e cariche esplosive per distruggere i tunnel dall’interno.
La sfida, però, non si limita all’attacco. La reazione di Teheran potrebbe essere brutale. Nonostante abbia subito oltre mille bombardamenti da parte israeliana, il regime iraniano non ha ceduto. Nelle ultime ore, i pasdaran hanno lanciato missili Sejil dotati di 650 kg di esplosivo ad alto potenziale e dotati di traiettorie imprevedibili. Inoltre, l’Iran dispone ancora di testate con agenti chimici e gas nervini: anche un singolo missile colpito in volo potrebbe diffondere veleni letali su vaste aree urbane.
Cresce anche il timore per un allargamento del conflitto. Se gli Stati Uniti entrassero in guerra apertamente, le milizie sciite irachene potrebbero attaccare le basi USA in Iraq, mentre attentati suicidi contro personale e installazioni statunitensi nell’intera regione non possono essere esclusi.
Infine, rimane il rischio di una crisi energetica globale. I Guardiani della Rivoluzione hanno predisposto un arsenale navale nello Stretto di Hormuz: mine, droni marini e barchini armati pronti a bloccare il traffico di petrolio e gas. Un’azione di questo tipo farebbe schizzare il prezzo del barile e rischierebbe di colpire duramente le economie occidentali.
Il generale Kurilla ha una missione chiara: mostrare a Teheran che il prezzo da pagare per la corsa all’atomica sarà insostenibile. La deterrenza è il primo obiettivo, ma il secondo — la distruzione del cuore nucleare iraniano — è già in fase operativa.
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