I “fantasiosi” calcoli di Trump sui dazi a stelle e strisce

di Emanuela Ricci

Secondo l’amministrazione Trump, l’Europa avrebbe approfittato degli Stati Uniti imponendo dazi più alti, alimentando un deficit commerciale che l’America non può più tollerare. Il ragionamento – a prima vista semplice – è in realtà frutto di un calcolo privo di fondamento economico. Come ha chiarito l’economista Antonio Villafranca, vicepresidente per la ricerca dell’Ispi, sulle pagine del Corriere della Sera, la Casa Bianca ha costruito la sua formula dividendo il deficit commerciale Usa-Ue (235,6 miliardi di dollari nel 2024) per il totale delle importazioni dagli Stati membri (605,8 miliardi), ottenendo il 39% e proponendo così dazi medi del 20%.

Ma i dati reali raccontano altro: la tariffa media applicata dall’UE alle merci statunitensi è del 5%, e se si ponderano i settori merceologici più rilevanti, l’aliquota scende a poco più dell’1%, addirittura inferiore rispetto a quella media applicata dagli USA ai prodotti europei. Quindi, nessuna “invasione commerciale”, ma uno squilibrio più complesso.

Le vere barriere? Gli standard europei

Il secondo grande punto contestato da Trump sono le cosiddette barriere non tariffarie, come gli standard ambientali, sanitari e digitali imposti dall’UE. In effetti, Bruxelles ha adottato regole stringenti su molti prodotti, non solo per proteggere i consumatori, ma anche per tutelare le imprese europee dalla concorrenza sleale. Nel digitale, ad esempio, l’Europa cerca di bilanciare il dominio delle Big Tech americane con regole sulla privacy e sull’uso dei dati. Ma anche qui, i numeri smentiscono i presunti danni: l’UE ha un deficit di 109 miliardi di euro nei servizi, dominati dalle Big Tech USA, che continuano a prosperare nel mercato europeo.

Gli effetti sull’economia reale

Le conseguenze delle misure protezionistiche non sono affatto indolori. Secondo stime indipendenti, una famiglia americana potrebbe pagare fino a 2.100 dollari in più l’anno per l’aumento dei prezzi causato dai dazi. Per l’Italia, l’impatto sui conti potrebbe superare mezzo punto percentuale del PIL nel triennio 2025-2027, come rilevato dalla Banca d’Italia. E non si tratta solo di effetti bilaterali: la guerra commerciale USA-Cina, ad esempio, potrebbe spingere l’Europa a ricevere un’ondata di importazioni cinesi a basso costo, con conseguenze sul settore manifatturiero.

La risposta europea: digital tax e nuove accise

Nel tentativo di riequilibrare i rapporti, l’Unione Europea guarda ora a una nuova forma di tassazione: le accise digitali. L’idea, elaborata da accademici e think tank, è di tassare l’estrazione di valore digitale come si fa con le risorse naturali. In pratica, trattare i dati personali come il petrolio: un bene estratto da una giurisdizione, che genera profitto e va quindi tassato.

Il modello si ispira al “Pillar 2” dell’Ocse, già adottato in Europa, che prevede una global minimum tax del 15% per le multinazionali, ma cerca ora di riattivare anche il “Pillar 1”, bloccato dalle resistenze USA. Intanto, alcuni Paesi europei – tra cui Italia, Francia, Regno Unito e Canada – hanno mantenuto le web tax nazionali, nonostante le minacce di dazi fino al 50% da parte di Washington.

Non tutti, però, hanno resistito alla pressione americana. L’India, pioniera della digital tax nel 2016, ha recentemente cancellato la propria tassa del 6% sulla pubblicità digitale per evitare tensioni con Washington. Una mossa che mostra quanto sia delicato il terreno della fiscalità digitale. Intanto, sul fronte giudiziario, in Italia si apre un caso simbolico: Meta è accusata di evasione Iva per 887 milioni di euro. Secondo la Guardia di Finanza, lo scambio tra servizi digitali e dati degli utenti rappresenta una “permuta” tassabile, mentre l’azienda contesta l’intera impostazione. Il processo avrà riflessi a livello europeo e potrebbe fare scuola nel ridefinire la fiscalità digitale.

Il sintesi il ritorno dei dazi proposto da Trump solleva interrogativi profondi sulla sostenibilità di un commercio globale equo. Le cifre su cui si fonda la narrazione americana sono distorte, e le conseguenze delle tariffe ricadono spesso sui consumatori e sulle imprese, non solo americane ma anche europee. Di fronte a questa sfida, l’Unione Europea deve evitare la trappola della reazione impulsiva e lavorare a una strategia comune e innovativa, capace di tutelare il proprio modello economico e i suoi cittadini. La partita è appena iniziata.

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