Il conflitto a Gaza: una tragedia globale che alimenta odio e divisione

di Antonio Adriano Giancane

Il conflitto a Gaza, che dal mese di ottobre 2023 sta scuotendo la Striscia, ha provocato una tragedia umanitaria di proporzioni devastanti, con vittime che si contano ormai a migliaia, tra cui numerosi civili, donne e bambini.

Non esiste un modo univoco per contare le vittime civili nei conflitti. In ogni guerra, le istituzioni utilizzano metodi differenti perché diversi sono anche gli scopi del conteggio. Quello che non cambia è la necessità di assicurare che le identità dei propri morti non vadano dimenticate. La guerra a Gaza cominciata il 7 ottobre 2023 non è diversa.

Secondo il ministero della Salute palestinese, dal 7 ottobre 2023 al 19 gennaio 2025 a Gaza sono morte oltre 47.000 persone e più di 110.000 sono rimaste ferite. Dopo un anno di conflitto, a ottobre 2024, il 59% delle persone uccise erano donne, bambini ed anziani, mentre il 41% erano uomini. Di questo 41%, il 18% era tra i 18 e i 30 anni di età. Le immagini di ospedali sovraffollati e di corpi senza vita tra le macerie sono diventate il simbolo di una guerra che sembra non avere fine. La difficoltà di accesso ai luoghi colpiti dalle bombe, unita alla mancanza di comunicazioni e all’isolamento della zona, rende difficile determinare numeri precisi, ma ciò che è certo è che la Striscia di Gaza sta vivendo una catastrofe senza precedenti. Le immagini di bambini mutilati e famiglie distrutte stanno alimentando un’ondata di indignazione e di odio, non solo tra palestinesi e israeliani, ma anche tra le popolazioni mondiali.

Le proteste in solidarietà con i palestinesi sono aumentate in molte città del mondo: New York, Londra, Parigi, Berlino, ma anche in molte città arabe, dove si sono registrati episodi di violenza contro le comunità ebraiche. In molti Paesi, il sentimento di antipatia verso Israele, e in alcuni casi verso gli ebrei, sta crescendo, alimentato dalla narrazione delle stragi quotidiane a Gaza. La crescente polarizzazione sta facendo aumentare il rischio di violenze anche lontano dalla Striscia, con gruppi radicali che potrebbero sfruttare la rabbia popolare per intensificare i conflitti.

Il fenomeno del Boycott, Divestment and Sanctions (BDS) contro Israele sta guadagnando terreno in molte nazioni, aggravando ulteriormente l’isolamento internazionale dello Stato ebraico. Le divisioni tra Paesi come gli Stati Uniti e l’Unione Europea, che continuano a esprimere sostegno a Israele, e nazioni come la Turchia, l’Iran e il Qatar, che si sono schierate con la causa palestinese, evidenziano la difficoltà di trovare una posizione comune.

Mentre Gaza brucia, la comunità internazionale, pur mostrando preoccupazione, sembra impotente di fronte a una crisi umanitaria che si aggrava ogni giorno. Dopo settimane di blocco, sono finalmente entrati a Gaza circa 90 camion di aiuti umanitari, ma questa è solo una piccola parte di ciò che sarebbe necessario per alleviare la sofferenza della popolazione. Le Nazioni Unite hanno denunciato che il flusso di aiuti è troppo lento e che la fame sta ormai dilagando nell’enclave. Nonostante l’arrivo di cibo, molti panifici sono stati costretti a chiudere a causa della mancanza di carburante e di scorte, aggravando ulteriormente la crisi alimentare.

In un tentativo di controllare l’afflusso di aiuti, Israele ha posto delle condizioni, legando la distribuzione degli aiuti a un nuovo sistema che prevede la supervisione di agenzie israeliane, suscitando il disappunto delle Nazioni Unite, che hanno rifiutato di sottostare a tali condizioni. Il rischio è che questa situazione di stallo continui a prolungarsi, con il popolo palestinese stretto tra la violenza delle forze israeliane e le condizioni disumane di vita.

Le forze israeliane, che giustificano i loro attacchi come parte di una legittima difesa contro Hamas, stanno cercando di ottenere il controllo completo di Gaza, ma il risultato è una spirale di violenza che sembra senza fine. I bombardamenti aerei e gli attacchi terrestri stanno distruggendo le infrastrutture vitali, compresi ospedali e scuole, con una perdita incalcolabile in termini di vite umane e danni materiali. Il direttore dell’ospedale di AlAwda, nel nord di Gaza, ha riferito che la struttura è stata colpita ripetutamente dai carri armati israeliani, mettendo a rischio la vita dei pazienti e del personale medico.

Nel frattempo, il governo israeliano ha ribadito la sua intenzione di intensificare gli attacchi contro Hamas, fino a quando il gruppo non cederà alle condizioni di cessate il fuoco richieste. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato che Gaza sarà “liberata” da Hamas e che tutta la Striscia sarà sotto il controllo delle forze di sicurezza israeliane. Le parole del premier, però, suonano come una condanna alla popolazione civile che rimane intrappolata nel conflitto.

La comunità internazionale, pur esprimendo preoccupazione per la gravità della situazione, non è riuscita a trovare una risposta condivisa e concreta per fermare la guerra. L’Onu, l’Unione Europea e le principali potenze mondiali si trovano di fronte a una divisione che riflette la complessità e la storicità del conflitto. Le richieste di un cessate il fuoco immediato, seppur ripetute, non hanno ottenuto risultati tangibili.

La guerra a Gaza e la situazione in Ucraina sono due facce della stessa medaglia: conflitti che sembrano non trovare una soluzione, tra accuse reciproche, minacce e un flusso di violenza che non accenna a fermarsi. La diplomazia appare impotente di fronte alla brutalità del conflitto e alla crescente ostilità tra le potenze mondiali.

Il futuro di Gaza e della Palestina rimane incerto, segnato da una violenza che continua a crescere. Le vittime, tra cui moltissimi civili, sono ormai il simbolo di un conflitto che potrebbe estendersi a livello regionale, con gravi ripercussioni per la sicurezza internazionale. La comunità internazionale, pur esprimendo solidarietà, non è riuscita a dare risposte concrete alla crisi. Il rischio di un’escalation ulteriore è alto, e la speranza di una pace duratura sembra ancora lontana.

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