L’epurazione nel Movimento segnerà il bivio del 2020

(di Andrea Pinto) Il Movimento delle Stelle potrebbe essere arrivato ad un bivio. Emblematico è stato il video di Beppe Grillo lanciato sul web a fine anno: “stava scavando una enorme buca“. Un gesto simbolico, una buca per trincerarsi, oppure una buca per seppellire definitivamente il grillismo?

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Certo è che Beppe Grillo la sua sfida l’ha vinta, ha portato dei comuni cittadini in tutte le sedi amministrative del Paese e addirittura all’interno del Parlamento. Non avrebbe mai immaginato, però, che i grillini si sarebbero plasmati così velocemente agli agi della Casta.

Ora però si è giunti al “redde rationem”. Di fronte ad un Beppe Grillo e Davide Casaleggio sempre più vicini alle lusinghe del Pd, vi è una consistente frangia di parlamentari che non hanno mai digerito la giravolta politica a 360 gradi e non sopportano di adempiere ad uno dei vincoli dello statuto del Movimento, versare parte dei loro compensi (300 euro mensili) alla Casaleggio Associati per la piattaforma Rousseau.

Dopo l’allontanamento di Gianluigi Paragone, perchè non aveva votato la Legge di Bilancio, all’ordine del giorno ci sarebbe l’espulsione di almeno 30 parlamentari morosi nei confronti di Casaleggio. Una specie di epurazione per serrare le fila. Di Maio vorrebbe fare pulizia e accerchiarsi solo di fedelissimi per  recuperare compattezza e coerenza. Un richiamo a una «nuova identità», perché il Movimento — come ha ribadito più volte Grillo — «è cambiato».

Un progetto di trasformazione, scrive il Corriere della Sera, che dovrebbe assumere contorni più nitidi a marzo, quando si terranno gli Stati generali del  M5S. Il gruppo di ministri lealisti — da Vincenzo Spadafora ad Alfonso Bonafede — si è riavvicinato. Ma molti chiedono un cambio di passo. Anche all’intemo del gruppo dei 5S al Governo ci sono disaccordi. La scelta dei facilitatori ha creato ulteriori malumori. In una chiave duplice. Da un lato, una buona fetta — si parla di qualche decina di eletti (soprattutto nei collegi uninominali) — ha criticato la mancanza di meritocrazia. L’ala nordista — a cui si rifanno Stefano Buffagni, Luca Carabetta, Alvise Maniero — invece accusa il leader di aver trascurato il settentrione in nome di un meridionalismo troppo marcato. I fedelissimi di Roberto Fico e che hanno elementi di spicco come il ministro Federico d’Incà — al momento tengono un profilo istituzionale e vivono una fase attendista, aspettando l’evolvere degli eventi.

AL di là dei malumori interni, in molti pensano che in caso di una pesante sconfitta in Emilia-Romagna e Calabria «arriverà la fine del Movimento». E anche la scelta di delegare a Rousseau la decisione sulle alleanze o sulla desistenza è stata vista come «un segno di debolezza» del leader.

Starebbero scaldando i motori per  un nuovo partito sovranista, Gianluigi Paragone e Alessandro Di Battista (il 7 gennaio in partenza per l’Iran), da sempre apertamente in contrasto con le scelte del Movimento a trazione Luigi Di Maio.

L’epurazione nel Movimento segnerà il bivio del 2020