Il regime iraniano solo con la guerra può  mantenere il potere

di Andrea Pinto

La decisione di attaccare, presa nella notte tra giovedì e venerdì, è stata voluta direttamente dal Primo Ministro Benyamin Netanyahu, che ha agito in solitaria sulla base di quattro fattori determinanti:

1. Lo stato del programma nucleare iraniano
Pochi giorni prima, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) aveva rivelato che l’Iran ha prodotto oltre 400 kg di uranio arricchito al 60%, materiale sufficiente per costruire almeno dieci ordigni nucleari simili a quelli sganciati su Hiroshima.

2. L’indebolimento dell’Iran
Il regime iraniano si trova ora a fare i conti con il ritorno del proprio stesso mostro: Hamas, armato e sostenuto per anni da Teheran. Il massacro del 7 ottobre ha spinto Israele a voler smantellare ogni ramo dell’influenza iraniana nella regione: Hamas, Hezbollah, gli Houthi in Yemen e il regime filo-iraniano di Assad in Siria. Inoltre, nei raid israeliani dell’ottobre 2024 è stata quasi completamente distrutta la difesa antiaerea iraniana, lasciando il cielo del Paese esposto agli attacchi dell’aviazione israeliana.

3. Il nuovo equilibrio politico interno in Israele
Netanyahu ha recentemente ottenuto il sostegno della maggioranza alla Knesset, aprendo la strada a un’azione militare contro l’Iran e sfruttando anche l’occasione per spostare l’attenzione internazionale dalla crisi di Gaza al nuovo fronte orientale.

4. L’ambiguità dell’amministrazione Trump
Pur rimanendo un alleato storico di Israele, Donald Trump ha chiarito di non voler coinvolgere direttamente gli Stati Uniti in nuovi conflitti. Preferisce puntare su una soluzione diplomatica per il nucleare iraniano: era infatti previsto un incontro negoziale a Mascate (Oman) per domenica 15 giugno. Tuttavia, Netanyahu – pur informando Trump – ha agito senza attendere, impedendogli di chiudere un possibile accordo che avrebbe consentito all’Iran di proseguire con l’arricchimento dell’uranio.

È scoppiata così una guerra

Ogni giorno si registrano scambi violentissimi: bombardamenti aerei israeliani e ondate di missili e droni iraniani. Fino a dove potrà spingersi il conflitto? Potrebbe infiammare l’intera regione, o persino oltre? L’obiettivo di Israele è distruggere del tutto il programma nucleare iraniano. Ma difficilmente ci riuscirà, nonostante l’abilità dei suoi piloti e dei servizi segreti. L’Iran, infatti, ha da tempo sepolto i suoi impianti più sensibili – come le centrifughe per l’arricchimento e gli impianti per le testate – in profondità sotto montagne impenetrabili. Israele non dispone di bombe abbastanza potenti per raggiungere tali profondità. Solo gli Stati Uniti hanno in arsenale una superbomba da 15 tonnellate in grado di penetrare questi bunker, trasportabile dai bombardieri B2 di base nell’oceano Indiano, a Diego Garcia. Ma Trump è stato chiaro: «Gli americani non c’entrano nulla con questa guerra», a meno che non vengano colpiti direttamente.

Il risultato più probabile? Israele potrà solo rallentare il programma nucleare iraniano, ma spingerà probabilmente Teheran ad accelerarlo. Un altro obiettivo dichiarato da Netanyahu è il rovesciamento del regime. Ha persino esortato il popolo iraniano alla ribellione. Tuttavia, si tratta di uno scenario irrealistico: i Guardiani della Rivoluzione hanno saldamente in mano il potere e non esiste un’opposizione organizzata. A Teheran è ancora viva la memoria della guerra civile libica scoppiata dopo i bombardamenti occidentali.

Se non si raggiungerà un cessate il fuoco in tempi rapidi, l’ipotesi più concreta è un’escalation attraverso il terrorismo, una delle specialità del regime iraniano fin dal 1979. Un altro rischio gravissimo è il blocco dello stretto di Hormuz, da cui passa circa il 20% del petrolio mondiale, con pesanti ricadute economiche globali. Nel frattempo, l’Iran potrebbe accelerare la produzione di testate nucleari sfruttando stock di uranio la cui localizzazione è sconosciuta perfino all’AIEA.

Non si può escludere nemmeno una guerra convenzionale diretta contro Israele, magari riattivando le milizie sciite o coinvolgendo il governo di Baghdad, che per ora si mantiene neutrale.

Tutto dipenderà dall’efficacia delle operazioni militari. Israele continuerà a colpire i siti nucleari per danneggiarli quanto più possibile, mentre l’Iran cercherà di infliggere il maggior numero di vittime civili, mirando alle cosiddette soft targets, ovvero le città. Teheran possiede circa 2.000 missili balistici e ne produce una cinquantina al mese. Israele avrà presto bisogno di nuovi intercettori antimissile americani e di munizioni per continuare la campagna.

Ma, per ora, Israele è solo. Londra e Parigi hanno già dichiarato che non aiuteranno a difendere il Paese dagli attacchi aerei, come invece fecero l’anno scorso.

Trump, infine, ha dichiarato di essersi accordato con Putin per porre fine al conflitto il prima possibile. Ma le prospettive restano incerte.

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