di Emanuela Ricci
A volte, l’eroismo si manifesta nel silenzio di un gesto rapido, nella prontezza di un istante, nell’istinto di chi decide di entrare nel fuoco invece di scappare. È il caso del Maresciallo Pierluigi Tusiano, comandante della Stazione Carabinieri di Casalnuovo Monterotaro e di Casalvecchio di Puglia, che il 27 aprile 2023 ha salvato la vita a due donne disabili, intrappolate in una palazzina avvolta dal fumo, nel piccolo borgo di Casalvecchio di Puglia. Lo abbiamo intervistato in occasione del 211° Anniversario dell’Arma dei Carabinieri, giornata in cui il militare ha ricevuto dal Presidente della Repubblica la medaglia d’argento al valore civile.

Maresciallo Tusiano, Lei è conosciuto in tutta Italia per aver salvato due donne disabili intrappolate in un incendio. La vicenda accadde due anni fa a Casalvecchio di Puglia, in provincia di Foggia. Ci può raccontare nel dettaglio quel giorno?
Era il 27 aprile 2023. Una giornata che ha segnato profondamente la mia vita, sia personale che professionale. Non ero in servizio in senso stretto: stavo svolgendo attività di polizia giudiziaria in abiti civili, in una strada adiacente al luogo dell’incendio. Intorno alle 15:00 ho udito un forte scoppio e ho visto una colonna di fumo nero alzarsi tra le palazzine basse del paese. Ho lasciato immediatamente l’attività che stavo svolgendo per dirigermi sul posto. Ho sentito le urla disperate di un giovane che gridava: “Sto bruciando, sto bruciando”.
Cosa ha visto appena arrivato sul posto?
La scena era drammatica. Il ragazzo era completamente ustionato sul lato destro del corpo: gambe, fianco, braccio, persino il volto e i capelli. Accanto a lui, un furgone in fiamme – era della ditta Italgas. Stavano lavorando a una conduttura del gas che, a quanto pare, è esplosa. L’odore di gas era fortissimo. Ho subito detto ai colleghi del ragazzo di trascinarlo via dalla zona per evitare il pericolo di ulteriori esplosioni.
Dall’altra parte del furgone ho sentito delle grida femminili, quasi di bambine. Le strade erano invase dal fumo e dalle fiamme che uscivano persino dai tombini. Mi sono fatto strada tra le vie per localizzare da dove provenissero quelle urla. Arrivato davanti ad una palazzina di due piani ho spinto con forza la porta d’ingresso e sono entrato. Dentro non si vedeva nulla. Ho urlato: “Sono il maresciallo, dove siete?” e una voce mi ha risposto: “Maresciallo, sono qui”.
In fondo alla cucina ho visto una donna su una sedia a rotelle con una gamba amputata. Le ho detto: “Signora, venga con me, la porto via”, ma lei mi ha risposto: “No, c’è anche la signora Carmela sul divano”. A quel punto ho cercato tra il fumo e ho trovato l’altra donna, minuta, con dei cuscini sul volto per non respirare i fumi. L’ho caricata sulla spalla destra. Solo dopo mi sono reso conto che si chiamava Pinuccia, mentre Carmela era la donna sulla sedia a rotelle. Con Pinuccia sulla spalla e Carmela trascinata con l’altra mano, le ho portate fuori dall’appartamento, tra sedie, tavoli e fumo. Dopo 50 metri le ho affidate ai soccorsi.
Poi Carmela, ancora sotto shock, mi ha detto: “Maresciallo, ho un problema. Ho tutta la mia pensione dentro un cuscino in camera da letto. Se la perdo, non ho più nulla”. Non me la sono sentita di ignorarla. Sono tornato indietro tra le fiamme, mi sono coperto il capo con uno straccio bagnato chiesto a un vicino, sono entrato e ho recuperato oltre 2.000 euro nascosti nel cuscino. Glieli ho riportati e lei mi ha abbracciato in lacrime.
Cosa ha provato in quel momento? Ha avuto paura?
Non ho esitato, né avuto paura. È stato puro istinto. Credo che molte persone avrebbero fatto lo stesso. Ma la divisa ti dà una spinta in più. È come un superpotere: ti obbliga moralmente ad andare oltre. Sono carabiniere da 23 anni. Quello spirito di servizio l’ho imparato dai miei comandanti. È una formazione che non si impara sui banchi, ma sul campo, trasmessa da chi ha vissuto prima di te.
Ha utilizzato tecniche particolari per affrontare la situazione?
Nessuna tecnica complessa. Solo l’accortezza di proteggermi con un asciugamano bagnato nel secondo ingresso, quello per recuperare la pensione. Ho protetto mani, viso, occhi e capelli. Ho messo in pratica alcune nozioni del corso TIO (Tecniche di Intervento Operativo), utili per gestire situazioni di pericolo anche in ambito emergenziale.
Aveva una preparazione specifica in ambito antincendio?
Come comandante di stazione ho frequentato corsi sulla gestione delle emergenze, ma sono pensati per evacuazioni di edifici, non per scenari come quello che ho affrontato. Lì c’era un rischio concreto e immediato di nuove esplosioni. Sono entrato consapevole che potevo morire per fuoco o per intossicazione. Se non fossi entrato, Carmela e Pinuccia non sarebbero sopravvissute.
Ha ricevuto la medaglia d’argento al valore civile e un encomio solenne. Cosa hanno significato per lei?
Sono onorato. Posso dire che dopo l’emozione della nascita di mio figlio, Angelo Pio, è stata la seconda emozione più grande: trovarmi davanti al Presidente della Repubblica e al Comandante Generale dell’Arma Generale Salvatore Luongo e ricevere parole di apprezzamento e gesti di vicinanza e affetto da parte delle più alte cariche dello Stato. Ricordo quando, di fronte al presidente del Senato, Ignazio La Russa e al Ministro della Difesa, Guido Crosetto, veniva letta la motivazione della medaglia d’argento al valore civile. In quel momento ho pianto, avevo le lacrime agli occhi perché l’emozione è stata tantissima nel sapere che ho rischiato la mia vita per salvare due vite. Prima che accadesse il fatto io non sapevo di poter arrivare fino a quel punto, diciamo di fronte a migliaia di persone in diretta tv, in una trasmissione televisiva o su tutti i telegionali, come anche su tutte le testate giornalistiche che hanno riportato la notizia. Tutto ciò, non mi interessava. L’importante era aver portato in salvo le due donne che oggi vado a trovare. Molto spesso torno da nonna Pinuccia e nonna Carmela che mi accolgono a casa con un bel caffè e quando posso porto loro una pianta. Tutto ciò, non ha cambiato la mia vita, l’ha rafforzata. Mi hanno reso ancora più consapevole del valore della nostra presenza sul territorio. Siamo 5.800 stazioni in tutta Italia, anche nei paesi più remoti. E grazie a questa rete capillare possiamo davvero fare la differenza. Quel giorno per me non è stato un traguardo, ma un nuovo inizio.



Comanda la stazione di Faleria, in provincia di Viterbo. L’esperienza di Casalvecchio ha influenzato il suo modo di comandare?
Non ha condizionato il mio approccio, ma mi ha arricchito. La mia carriera è cominciata a Bolzano, poi 16 anni in Calabria, quattro in Puglia, missioni all’estero, reparti investigativi, motociclista dell’Arma. Ho vinto il concorso da brigadiere, poi quello da maresciallo, ho studiato, mi sono formato. Il mio primo comando è stato proprio a Casalvecchio di Puglia. Poi, per motivi familiari, mi sono trasferito nel Lazio, dove vive mio figlio.
La sua famiglia?
Ho un figlio di tre anni. Dopo il salvataggio, il primo pensiero è andato a lui: alla possibilità che non lo avrei più rivisto. Ecco, se oggi qualcosa è cambiato, è questo: sapere che, se un domani mio figlio leggerà quella motivazione, potrà dire con orgoglio che suo padre ha fatto la cosa giusta. Spero che possa ispirarlo, ad intraprendere la stessa strada del padre.
In un’Italia spesso abituata ai titoli urlati e alla cronaca nera, ci sono storie che ci ricordano chi siamo davvero. Quella del Maresciallo Pierluigi Tusiano è una di queste. Non ha indossato una maschera da eroe, ma si è comportato come tale. Ha ascoltato una voce nel fumo, ha seguito il richiamo del dovere e ha restituito la vita a chi l’aveva quasi persa.
Il suo gesto non è solo un esempio di coraggio militare, ma un segnale potente di umanità. In un mondo che spesso sembra in fiamme, sapere che c’è ancora chi corre dentro l’incendio per salvare qualcuno fa sperare – e fa onore a tutta l’Arma dei Carabinieri.
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