di Francesco Matera
Il confronto tra Iran e Israele ha ormai assunto i contorni di una guerra aperta, con attacchi su larga scala, scambi di missili, droni e operazioni militari su obiettivi strategici. L’escalation è cominciata dopo l’operazione israeliana denominata “Rising Lion”, condotta il 13 giugno, che ha coinvolto più di 200 velivoli e ha colpito un centinaio di bersagli iraniani, tra cui basi militari, depositi missilistici, installazioni nucleari e infrastrutture civili. È stato l’attacco più esteso mai lanciato dallo Stato ebraico contro il territorio iraniano. Tra i siti colpiti figurano anche impianti nucleari di rilievo come Natanz, Esfahan e Khondab, così come diverse postazioni dei Pasdaran nei sobborghi di Teheran. Secondo fonti di intelligence occidentali, sarebbero stati neutralizzati anche alcuni alti comandanti delle forze iraniane.
Teheran ha risposto con veemenza, lanciando una massiccia offensiva composta da più di 370 missili balistici e centinaia di droni kamikaze contro le principali città israeliane. Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme sono finite sotto il fuoco dei razzi, alcuni dei quali – secondo le autorità iraniane – avrebbero colpito direttamente obiettivi militari. Israele, tuttavia, ha intercettato la maggior parte dei vettori grazie al suo sistema multilivello di difesa antimissile, composto da Iron Dome, David’s Sling e Arrow 2/3. Nonostante l’efficacia del sistema, alcuni ordigni sono riusciti a superare le difese e hanno causato danni e vittime civili.
Nel cuore della controffensiva iraniana spicca l’impiego del missile balistico “Haj Qassem”, un vettore a lungo raggio di nuova generazione dedicato al generale Soleimani, progettato per resistere alla guerra elettronica e in grado di manovrare in volo. È proprio uno di questi missili che, secondo fonti interne a Israele, sarebbe riuscito a eludere le difese e a colpire in pieno Tel Aviv. Questo nuovo arsenale rappresenta una minaccia concreta per la sicurezza israeliana e testimonia il crescente livello tecnologico del programma missilistico iraniano.
La risposta israeliana non si è fatta attendere. Con l’appoggio dell’intelligence del Mossad, che ha condotto azioni di sabotaggio coordinate per indebolire le difese iraniane, i caccia F-35I Adir sono tornati a colpire in profondità nel territorio iraniano. Si ritiene che questi velivoli stealth, appositamente modificati da Israele per missioni a lungo raggio, abbiano operato senza necessità di basi intermedie o rifornimenti in volo, colpendo radar, depositi sotterranei e persino le cosiddette “città missilistiche”, ovvero complessi di tunnel utilizzati dai Pasdaran per il lancio nascosto di razzi.
Nonostante la portata degli attacchi iraniani, gli analisti ritengono che Teheran stia già affrontando un problema di logoramento strategico. L’Iran disponeva, secondo le stime più attendibili, di circa 3.000 missili balistici prima dell’inizio della guerra, ma solo una parte è effettivamente in grado di raggiungere il territorio israeliano. Dopo le offensive degli ultimi giorni, le scorte sembrano ridotte in modo significativo, e la capacità di sostituire in tempi rapidi tali armamenti è ostacolata dalle sanzioni e dalla difficoltà logistica.
Nel frattempo, cresce la tensione attorno alla figura della Guida Suprema Ali Khamenei. Secondo indiscrezioni di stampa e servizi segreti, l’anziano leader sarebbe stato trasferito in un bunker a nord-est di Teheran insieme alla sua famiglia, sotto la protezione dei Guardiani della Rivoluzione. Non si esclude che Israele possa considerare anche un’operazione di “decapitazione” politica, volta a colpire il vertice decisionale del regime. Una tale manovra aprirebbe scenari imprevedibili: il figlio di Khamenei, Mojtaba, è indicato come possibile successore, ma non gode di ampio consenso nemmeno tra i religiosi e i vertici dei Pasdaran. La prospettiva di una lotta di potere interna, in caso di morte o deposizione del Leader Supremo, alimenta timori di instabilità generalizzata.
Sul piano internazionale, gli appelli alla de-escalation si moltiplicano, ma restano per ora inascoltati. La diplomazia è paralizzata e le potenze occidentali appaiono divise tra il sostegno a Israele e il timore che la crisi possa estendersi a tutta la regione. Con il Libano, la Siria e lo Yemen potenzialmente coinvolgibili nel conflitto, il rischio di una guerra regionale su vasta scala è più concreto che mai. Intanto, le strade di Tel Aviv e Teheran restano vuote, le sirene continuano a suonare e la possibilità di una tregua sembra sempre più remota.
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