Israele-Iran. La guerra fantasma che diventa conflitto aperto

di Antonio Adriano Giancane

Il conflitto tra Israele e Iran, ormai una guerra lunga e sfuggente, è passato da una “guerra fantasma” a un conflitto aperto e visibile, anche se per breve tempo. Il recente scambio di attacchi aerei, con l’Iran che ha risposto a un raid israeliano che ha ucciso un alto comandante dei Pasdaran in Siria, segna l’ennesimo superamento di una “linea rossa” nel Medio Oriente. La lunga attesa per una reazione iraniana al bombardamento dell’ambasciata israeliana a Damasco è finalmente arrivata, ma con risvolti che potrebbero risultare più politici che militari.

L’attacco iraniano, seppur senza causare danni significativi o vittime, ha suscitato riflessioni su come i due Paesi stiano progressivamente spingendo l’escalation del conflitto. La reazione iraniana, peraltro, è stata quasi una “mezza risposta”: un attacco simbolico, pur lanciato direttamente dal territorio iraniano, ma non abbastanza forte da giustificare una controffensiva israeliana su larga scala. In questo scenario di tensione crescente, le implicazioni politiche e strategiche sono immense non solo per Israele e l’Iran, ma per l’intero scacchiere geopolitico del Medio Oriente.

Il recente bombardamento israeliano della sede della televisione di Stato iraniana è solo l’ultimo in una serie di attacchi in corso. Da giorni, i due Paesi si scambiano colpi, colpendo obiettivi sensibili. Le dichiarazioni dei leader israeliani e iraniani rivelano la determinazione di entrambe le parti nel proseguire il conflitto, nonostante i richiami internazionali alla diplomazia.

Il presidente statunitense Donald Trump ha sollevato un punto cruciale durante il G7, dichiarando che “l’Iran non sta vincendo” e incitando Teheran a tornare al tavolo dei negoziati. Tuttavia, le dichiarazioni di Trump non sembrano aver avuto un impatto significativo sulle operazioni sul campo. L’Iran, infatti, ha ribadito la sua posizione: “Israele deve fermare la sua aggressione, altrimenti continueremo a rispondere“. Questo scambio di accuse e di fuoco diretto rivela l’inerzia della diplomazia, a meno che non intervengano forze esterne per forzare la pace.

Israele ha dimostrato di possedere un dominio aereo straordinario sui cieli iraniani. Gli attacchi mirati a missili, impianti nucleari e centri di comando della Forza QUDS (unità d’élite iraniana) sono solo la punta dell’iceberg. Tuttavia, nonostante la superiorità aerea e la distruzione mirata di obiettivi strategici, Israele si trova di fronte a una sfida difficile: distruggere l’impianto nucleare sotterraneo di Fordow, che è protetto da strutture bunkerizzate.

In questo contesto, anche se le capacità militari israeliane sono impressionanti, la realtà è che Israele non possiede le armi necessarie per colpire con successo e definitivamente un sito nucleare sepolto così in profondità. Le cosiddette “bunker-buster” (armi anti-bunker) non sono di produzione israeliana, e la possibilità di una soluzione definitiva sembra sfuggente. Gli analisti militari suggeriscono che Israele si stia concentrando su un approccio a lungo termine, mirato a colpire i punti più deboli dell’Iran – come la sua rete di missili balistici e i suoi leader militari – per indebolirlo senza una soluzione finale militare immediata e per nulla scontata.

L’Iran, nonostante la pressione internazionale e gli attacchi, non ha dato segni di capitolazione. Il suo programma nucleare, centrale per la sua capacità di sviluppare armi nucleari, sembra continuare, seppur sotto il fuoco israeliano. L’atteggiamento dell’Iran, lascia intendere che la leadership iraniana non abbia alcuna intenzione di fermare l’arricchimento dell’uranio o di cedere alle pressioni esterne. Piuttosto, l’Iran punta a “sopravvivere” al conflitto, infliggendo danni alla potenza israeliana e mostrando la propria resilienza.

Il governo iraniano sembra deciso a non fare concessioni, sperando che la comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, intervenga per negoziare un accordo che protegga il suo diritto all’arricchimento, pur limitando l’intensità della guerra. Tuttavia, questa strategia è rischiosa, perché il programma nucleare rimane un obiettivo primario per Israele, che considera la sua esistenza come una minaccia esistenziale.

Le attuali dinamiche però allontanano le prospettive di una soluzione diplomatica. La diplomazia è bloccata da una serie di fattori: la posizione intransigente dell’Iran sull’arricchimento nucleare, la determinazione di Israele a fermare il programma nucleare iraniano e l’incapacità della comunità internazionale di mediare efficacemente tra le due potenze regionali.

Daniel B. Shapiro, ex alto funzionario del Pentagono, ha sottolineato che se Israele non riuscirà a fermare l’arricchimento nucleare iraniano con attacchi mirati, il conflitto potrebbe diventare un ciclo senza fine. L’unica soluzione potrebbe essere una decisione politica che ponga fine a entrambe le ambizioni: quella israeliana di impedire la proliferazione nucleare e quella iraniana di mantenere il proprio programma.

Per gli Stati Uniti, la decisione di intervenire direttamente potrebbe dipendere dall’evoluzione della situazione. Se l’Iran dovesse spostare il conflitto verso gli interessi americani in Medio Oriente, l’intervento diretto diventa inevitabile. Tuttavia, come suggerito dall’analista Yoel Guzansky, la pressione diplomatica potrebbe essere l’arma decisiva di Trump per forzare un compromesso quando e se l’Iran sarà pronto a negoziare.

Nel frattempo, mentre le forze israeliane continuano a colpire obiettivi strategici, la comunità internazionale resta paralizzata, incapace di fermare un conflitto che potrebbe allargarsi. L’ombra di una possibile guerra mondiale è un’ipotesi da non sottovalutare, e la diplomazia, purtroppo, almeno per ora, sembra destinata a rimanere solo una speranza remota.

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