Nel 2025, la Cina ha approvato la costruzione di dieci nuovi reattori nucleari, segnando il quarto anno consecutivo di questa accelerazione. Sebbene l’obiettivo immediato sia la transizione ecologica, il nucleare gioca un ruolo centrale anche nella strategia geopolitica di Pechino. Con oltre 100 reattori in fase di sviluppo, la Cina non solo riduce la sua dipendenza dal carbone, ma si posiziona come leader globale nella nuova corsa al nucleare, mirando a espandere la propria influenza internazionale e a consolidare la sua potenza energetica.
di Pasquale Preziosa
Nel 2025, la Cina ha approvato la costruzione di dieci nuovi reattori nucleari per il quarto anno consecutivo. Dietro questa accelerazione, apparentemente tecnica ed energetica, si cela una strategia geopolitica molto più ambiziosa: il nucleare non è solo un pilastro della transizione ecologica di Pechino, ma anche uno strumento per ridefinire la propria influenza globale e ridurre la vulnerabilità strategica del Paese. Tradizionalmente, il potere geopolitico è stato strettamente legato al controllo delle risorse energetiche. Nel XXI secolo, il carbone, il petrolio e il gas hanno ceduto parte della loro centralità a nuove forme di energia: rinnovabili e nucleare. La Cina, da sempre assetata di risorse, ha compreso che dominare queste tecnologie non solo garantisce sicurezza interna, ma costruisce anche “capitali geopolitici” spendibili nei mercati internazionali.
Con 102 reattori operativi, in costruzione o approvati, e una capacità prevista di 110 milioni di kilowatt entro il 2030, Pechino ha ormai superato Stati Uniti ed Europa come primo attore nella nuova corsa al nucleare. In parallelo, la dipendenza dal carbone – principale responsabile delle emissioni clima alteranti – viene lentamente ma decisamente ridotta. I reattori Hualong One, protagonisti di questa nuova fase, non sono solo un successo industriale: sono un esempio di tecnologia “indigenizzata”, pensata per essere esportata. Già oggi, Cina National Nuclear Corporation (CNNC) propone il modello Hualong One in Medio Oriente, America Latina e Africa, offrendo finanziamenti competitivi rispetto alle tradizionali offerte occidentali. Il nucleare diventa così strumento di “soft power tecnologico” e di “hard power energetico”, aumentando la dipendenza dei Paesi partner da Pechino e consolidando nuove sfere di influenza.
Mentre Washington è rallentata da complessità interne e normative molto stringenti, Mosca soffre le sanzioni e la crisi post-Ucraina, e l’Europa fatica a definire una politica nucleare comune, la Cina invece avanza spedita. La partita nucleare si inserisce nel più ampio quadro della competizione tra Stati Uniti e Cina, dove la posta in gioco è la leadership della “nuova industrializzazione verde” del pianeta. Pechino punta a presentarsi come il campione del “green development” globale, ma senza rinunciare a forme di energia a base di tecnologia centralizzata – come il nucleare – che rafforzano il controllo statale e la coesione interna. Tuttavia, la corsa cinese al nucleare non è priva di rischi. Il rapido incremento delle centrali impone sfide enormi in termini di sicurezza, gestione delle scorie e accettazione sociale. Eventuali incidenti potrebbero compromettere seriamente la credibilità internazionale della Cina.
Inoltre, l’espansione nucleare genera inevitabilmente sospetti tra gli avversari geopolitici, che temono anche applicazioni dual-use della tecnologia come già avvenuto per la Corea del Nord. In uno scenario di crescente rivalità, il nucleare civile può essere visto come il preludio a un rinnovato protagonismo militare. La Cina ha compreso che chi controllerà l’energia del XXI secolo controllerà anche l’ordine mondiale.
Nel nuovo “Grande Gioco” energetico, il nucleare rappresenta per Pechino un mezzo per emanciparsi dalla dipendenza dal carbone, ridurre la vulnerabilità alle sanzioni esterne e ampliare la propria influenza globale. Mentre il mondo guarda all’energia verde come motore della prossima crescita, il nucleare – antico simbolo di potere e rischio – torna al centro delle strategie geopolitiche.

Pasquale Preziosa
già Capo di Stato Maggiore AM, oggi esperto del Comitato Scientifico dell’Eurispes e professore universitario di geostrategia.
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