di Pasquale Preziosa
La rivalità strategica tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese si è intensificata in modo significativo negli ultimi anni, con un’attenzione particolare rivolta al teatro indo-pacifico. Al centro di questa competizione si colloca il dossier Taiwan, epicentro di una contesa che intreccia potere militare, legittimità geopolitica e deterrenza incrociata.
A riaccendere l’attenzione internazionale è stato l’intervento del Segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth, durante lo Shangri-La Dialogue del maggio 2025 (FT), nel quale ha definito un’azione armata cinese contro l’isola come “potenzialmente imminente” e foriera di conseguenze sistemiche su scala globale.
Nel suo discorso a Singapore, Hegseth ha affermato che “la minaccia cinese è reale, e potrebbe essere imminente”. Pur trattandosi di un’affermazione dal forte impatto mediatico, essa non riflette un consenso unanime all’interno dell’apparato di intelligence e sicurezza statunitense, che continua a considerare improbabile un’invasione nel breve termine. L’impiego di un linguaggio allarmistico può dunque essere interpretato come una leva strategica per rafforzare l’architettura di sicurezza regionale, incentivare l’aumento delle spese militari tra gli alleati asiatici e riaffermare la centralità della presenza americana nel Pacifico.
Questa narrazione si colloca nella cornice della dottrina trumpiana della “peace through strength”, configurandosi come risposta agli sviluppi militari cinesi, i quali – sebbene articolati su orizzonti temporali più lunghi – rappresentano una sfida crescente alla superiorità operativa degli Stati Uniti nella regione.
La Repubblica Popolare Cinese ha avviato, a partire dal decennio scorso, un profondo processo di trasformazione del proprio apparato militare, orientato alla costruzione di una forza expeditionary, multidominio e tecnologicamente avanzata. Il nuovo Piano Quinquennale 2026–2030 evidenzia tre priorità strategiche:
- autosufficienza industriale e tecnologica;
- integrazione tra sviluppo economico e capacità di difesa;
- rafforzamento delle capacità nei domini emergenti (cyber, spazio, guerra elettronica, logistica avanzata).
Tali direttrici si traducono in investimenti mirati su sistemi missilistici ipersonici, tecnologie anti-accesso e anti-intervento (A2/AD), capacità di neutralizzazione delle reti C4ISR occidentali e una crescente attenzione alla modernizzazione nucleare.
La scadenza simbolica del centenario della fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione (2027) rappresenta un punto di svolta: entro quella data, Pechino intende disporre di uno strumento militare capace di operare efficacemente in scenari regionali ad alta intensità, incluso il contesto taiwanese.
Taiwan riveste una posizione strategica centrale nella visione geopolitica cinese, non solo come territorio conteso, ma anche come banco di prova della legittimità del Partito Comunista verso la popolazione interna, nonché come barometro del confronto con Washington. L’intensificarsi di esercitazioni congiunte, simulazioni di blocchi navali, pressioni diplomatiche e operazioni ibride segnala l’attuazione di una strategia di coercizione graduata, finalizzata a dissuadere sia le ambizioni indipendentiste taiwanesi sia un eventuale intervento americano.
Gli Stati Uniti, dal canto loro, sono chiamati a preservare una deterrenza credibile su scala globale, in un contesto segnato da crisi simultanee (Ucraina, Medio Oriente, tensioni interne) e da una progressiva erosione della propria superiorità unipolare.
Un elemento particolarmente rilevante riguarda la transizione cinese da una dottrina nucleare di deterrenza minima e No First Use verso una postura più articolata e offensiva, imperniata su una triade nucleare in via di completamento. Lo sviluppo di ICBM MIRV (DF-41), sottomarini classe Jin e Type 096, nonché del futuro bombardiere stealth H-20, testimoniano un’evoluzione significativa della strategia nucleare cinese.
Le recenti sperimentazioni con sistemi ipersonici e FOBS (Fractional Orbital Bombardment Systems) evidenziano inoltre l’intenzione di eludere le difese statunitensi, accrescendo l’opacità strategica e alimentando dinamiche potenzialmente destabilizzanti. In assenza di un coinvolgimento cinese nei regimi multilaterali di controllo degli armamenti, e con il persistente rifiuto di un dialogo trilaterale con USA e Russia, si delinea un ambiente nucleare multipolare sempre più instabile.
Sebbene la Cina non appaia intenzionata ad avviare un’azione militare contro Taiwan nel brevissimo periodo, essa sta predisponendo le condizioni operative per poterlo fare qualora lo ritenesse necessario. In questo senso, l’allarme lanciato da Washington sull’“imminenza” di un attacco va interpretato non come una previsione, ma come dichiarazione strategica, funzionale a consolidare l’impegno regionale e mobilitare risorse politico-militari.
La sfida per gli Stati Uniti consiste oggi non solo nel contenere l’espansione cinese, ma nel farlo senza generare le crisi che si intendono evitare. L’equilibrio tra deterrenza, gestione del rischio e salvaguardia della legittimità internazionale rappresenterà il banco di prova della leadership americana nel XXI secolo.
Pasquale Preziosa: già Capo di Stato Maggiore AM, oggi esperto del Comitato Scientifico dell’Eurispes e professore universitario di geostrategia.
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