La stabilità politica in Africa è da sempre una sfida complessa. Il continente è stato segnato da conflitti interni, guerre civili e tensioni etniche che spesso sfociano in violenze armate. Le fragili istituzioni statali, le interferenze straniere e la competizione per le risorse naturali hanno reso difficile il consolidamento di una pace duratura. La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è uno degli esempi più emblematici di questa instabilità, con il suo ricco sottosuolo che attira l’interesse di attori locali e internazionali. L’ultimo capitolo di questa lunga storia di conflitti si è aperto con la nuova avanzata dei ribelli filo-rwandesi dell’M23.
di Antonio Adriano Giancane
La resa dei conti era fissata al 27 gennaio. Non si è fatta attendere. I ribelli dell’M23 infatti hanno dichiarato la presa di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, dopo aver conquistato nei giorni scorsi snodi chiave al confine tra la RDC e il Rwanda. Gli appelli del Consiglio di sicurezza dell’ONU per un cessate il fuoco sono rimasti inascoltati, mentre la Francia ha espresso il proprio sostegno a Kinshasa, accusando il Rwanda di sostenere l’insurrezione. Il governo congolese ha ufficialmente classificato l’attacco come un “atto di guerra“.
I miliziani avevano imposto un ultimatum di 48 ore all’esercito regolare congolese per la resa e la consegna delle armi. Allo scadere del termine, la conquista di Goma si è concretizzata, con un valore sia simbolico che strategico. Questa escalation riaccende lo spettro di un conflitto su larga scala tra Kinshasa e Kigali. Le autorità congolesi accusano il Rwanda di sostenere l’M23 per ottenere il controllo sulle ricche risorse minerarie del Congo orientale, un’accusa che il presidente rwandese Paul Kagame continua a negare in modo sempre più ambiguo.
I ribelli, dopo aver preso la città, hanno invitato la popolazione alla calma. Goma, situata a 50 km dal confine con il Rwanda, è una città strategica con 1,5 milioni di abitanti, molti dei quali già sfollati da precedenti conflitti. La regione del Nord Kivu è una delle più ricche di minerali preziosi, come il coltan, fondamentale per la produzione di smartphone e dispositivi elettronici.
Se la conquista dell’M23 venisse confermata, si tratterebbe del più grande successo militare del gruppo negli ultimi anni. Il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, ha dichiarato che Parigi “condanna fermamente l’offensiva dell’M23, sostenuta dal Rwanda, che ha portato alla morte di sei peacekeepers e allo sfollamento di migliaia di persone“. Anche il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha discusso la situazione in una riunione d’emergenza, con Francia, Regno Unito e Stati Uniti che hanno chiesto il ritiro delle truppe rwandesi dalla RDC, mentre la Cina si è limitata a sollecitare la fine delle ostilità senza menzionare Kigali.
Secondo gli esperti ONU, il Rwanda ha inviato fino a 4.000 soldati in supporto ai ribelli, fornendo armi pesanti e addestramento militare. La crisi ha spinto le Nazioni Unite a evacuare parte del proprio personale, dopo che sei persone sono state uccise in un attacco definito “un crimine di guerra” dal segretario generale Antonio Guterres.
Nel frattempo, la RDC ha presentato una denuncia contro Apple, accusandola di acquistare consapevolmente minerali provenienti da zone di conflitto. Apple ha negato le accuse, affermando di aver interrotto gli approvvigionamenti dalla RDC e dal Rwanda nel giugno dello scorso anno.
La crisi nella RDC continua a essere un nodo critico nella stabilità dell’Africa centrale, con il rischio concreto di un’escalation che potrebbe coinvolgere altri Stati della regione. La comunità internazionale resta in allerta, ma la pace sembra ancora lontana in un contesto dove le risorse naturali sono più ambite della stabilità politica.
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