La geostrategia russa si basa su deterrenza attiva, coercizione e revisione dell’ordine liberale. Mosca vede l’espansione NATO come minaccia esistenziale e usa la forza per difendere il proprio spazio d’influenza. La guerra in Ucraina è parte di una strategia più ampia volta a riaffermare lo status di grande potenza
di Pasquale Preziosa – Membro esperto Comitato scientifico Eurispes – Docente di geopolitica e di Geostrategia
La guerra in Ucraina ha reso evidente una frattura profonda tra la visione strategica russa e quella
occidentale. Al centro di questo confronto vi è una diversa concezione della sicurezza, della
deterrenza e della legittimità geopolitica. Mentre l’Occidente continua a considerare l’espansione
della NATO e dell’Unione Europea come strumenti di stabilizzazione democratica, Mosca interpreta
questi processi come minacce esistenziali al proprio spazio vitale e alla propria sovranità strategica.
La strategia russa si fonda su una visione organica della sicurezza nazionale, che include la
proiezione di influenza sugli Stati post-sovietici. Il concetto di “vicino estero” (blizhnee zarubezh’e)
costituisce il perimetro geopolitico che Mosca considera essenziale per la propria sopravvivenza
come grande potenza. L’espansione della NATO verso Est, a partire dal vertice di Bucarest del
2008, è vista come una violazione degli equilibri stabiliti dopo la Guerra Fredda.
Mosca persegue una strategia di restaurazione multipla: territoriale (annessione della Crimea),
politica (interferenza nei processi democratici euroasiatici), militare (creazione di basi e presenza
nei teatri esteri), simbolica (rivalutazione della potenza imperiale) e normativa (contestazione del
diritto internazionale liberale).
Contrariamente alla dottrina occidentale, che distingue tra deterrenza e compellence, la Russia
adotta un approccio ibrido in cui minaccia e azione sono strettamente intrecciate.
La deterrenza russa non è solo preventiva, ma anche reattiva e offensiva. Essa include in primis la
minaccia nucleare come strumento di dissuasione estesa e di contenimento delle reazioni NATO,
inoltre fa uso di esercitazioni su larga scala, cyberattacchi e retorica bellica per generare incertezza
strategica infine considera l’impiego della coercizione diplomatica per ottenere concessioni senza
l’uso diretto della forza.
Secondo l’analisi di Dmitry Adamsky, l’ultimatum lanciato da Putin nel dicembre 2021 non era
concepito come preludio a un’invasione, ma come pressione strategica per ottenere garanzie
giuridiche sull’arresto dell’espansione NATO. Il fallimento di questa comunicazione coercitiva,
interpretata in Occidente come minaccia d’invasione, ha innescato l’escalation armata.
Dal punto di vista del Cremlino, l’Occidente ha violato l’equilibrio strategico post-Guerra Fredda,
rifiutando ogni proposta di compromesso strutturale. Il mancato rispetto, secondo Mosca, degli
Accordi di Minsk e la persistente volontà ucraina di integrarsi nell’Occidente hanno rafforzato la
narrativa dell’accerchiamento.
L’intervento in Georgia nel 2008, l’annessione della Crimea nel 2014 e l’invasione dell’Ucraina nel
2022 rappresentano tre fasi di una medesima geostrategia: mostrare che Mosca è pronta a ricorrere
alla forza per difendere il proprio spazio d’influenza e impedire una mutazione geopolitica a favore
dell’Occidente.
Un confronto utile è quello tra la strategia russa e le dinamiche tra Iran e Israele. Entrambi gli attori
utilizzano la forza in maniera calibrata per inviare segnali strategici all’avversario. Israele ha
impiegato attacchi mirati per dissuadere Teheran dallo sviluppo del nucleare, mentre l’Iran ha
risposto con ritorsioni proporzionali.
Questo modello di “deterrenza attiva” è oggi presente anche nella postura russa, che alterna minacce
nucleari, manovre militari e negoziati retorici per mantenere l’iniziativa strategica e testare i limiti di
reazione occidentale.
La geostrategia russa non mira a una semplice vittoria tattica sul campo, ma a una trasformazione
delle regole del gioco internazionale. Il ricorso alla forza è inteso come mezzo per delegittimare
l’ordine liberale basato su sovranità, diritto internazionale e sicurezza collettiva. La richiesta di
“rimozione delle cause del conflitto” equivale a una richiesta di resa politica dell’Ucraina e di
accettazione del revanscismo russo.
Per Mosca, l’Ucraina è il campo di battaglia simbolico e concreto su cui riaffermare il proprio status
di grande potenza. Per l’Occidente, la sfida è comprendere che la deterrenza è efficace solo se è comunicata in modo interculturale, adattata alle percezioni dell’altro, e supportata da una visione
strategica coerente e multilivello.
L’errore più grave che l’Occidente può commettere è considerare la Russia un attore irrazionale o
isolato. La sua geostrategia mostra coerenza, se letta attraverso le lenti della sua cultura strategica,
della sua storia imperiale e della sua visione multipolare del mondo (Dugin).
Affrontare questa sfida richiede una trasformazione della postura occidentale: non solo una reazione militare, ma anche una capacità proattiva di dissuasione, diplomazia resiliente e comprensione profonda delle logiche dell’avversario. Solo così sarà possibile preservare un ordine internazionale basato non sulla forza, ma sul diritto e sulla responsabilità condivisa.
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