di Pasquale Preziosa
Nel contesto della rivalità globale con gli Stati Uniti, la Repubblica Popolare Cinese sta definendo il proprio futuro strategico attraverso un processo di pianificazione economica e militare che si rinnova con il nuovo piano quinquennale (2026-2030). I segnali emersi indicano con chiarezza l’intenzione di Pechino di rafforzare la propria capacità di resilienza industriale, avanzamento tecnologico e autosufficienza strategica, in continuità con l’integrazione tra settori civili e militari. Il presidente Xi Jinping ha ribadito che lo sviluppo dovrà essere “guidato dall’innovazione tecnologica” e “radicato nell’economia reale”, con un’esplicita attenzione alla sicurezza nazionale.
Parallelamente, il portavoce del Ministero della Difesa, Wu Qian, ha confermato che saranno investite risorse in nuove capacità di combattimento, che comprendono forze nei domini emergenti (cyber, spazio), sistemi di allerta precoce, logistica avanzata e supporto integrato al campo di battaglia. Tutto ciò segnala un’accelerazione verso una modernizzazione qualitativa della spesa militare cinese. Questi orientamenti rientrano in una cornice strategica più ampia, in cui il centenario della fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione, previsto per il 2027, rappresenta una scadenza importante. Entro tale data, Pechino intende dotarsi di forze in grado di operare in scenari regionali ad alta intensità, sviluppare una deterrenza credibile nei confronti di Washington e colmare i divari nei settori aeronavale, missilistico, cibernetico e spaziale.
L’ambizione è costruire una forza armata expeditionary e multi-dominio, superando l’originaria vocazione difensiva costiera. Pur mantenendo un bilancio nominale sensibilmente inferiore a quello statunitense (250 miliardi contro circa 900 miliardi di dollari), la Cina beneficia di un vantaggio strutturale in termini di parità di potere d’acquisto (Purchasing Power Parity, PPP). La manodopera, l’industria degli armamenti e le infrastrutture militari hanno costi sensibilmente più bassi in Cina rispetto agli standard occidentali. Secondo stime accreditate (SIPRI, RAND), ogni dollaro speso da Pechino può generare un potenziale operativo equivalente a 1,5-2 dollari nel contesto statunitense.
La Cina, inoltre, adotta un approccio asimmetrico alla competizione strategica: non tenta di uguagliare gli Stati Uniti in tutti i domini, ma si concentra su aree chiave dove può ottenere vantaggi locali. L’arsenale cinese si sta evolvendo verso sistemi anti-accesso (A2/AD), missili ipersonici, droni avanzati, piattaforme spaziali e mezzi per disturbare le reti C4ISR americane. In questo modo, Pechino mira a dissuadere o rallentare qualsiasi intervento esterno, soprattutto nello scenario più sensibile: Taiwan.
Taiwan è oggi il perno della deterrenza regionale. Le esercitazioni militari cinesi, i blocchi navali simulati e la pressione diplomatica mostrano che Pechino considera la questione dell’isola come parte integrante della propria sovranità. Se ritenesse che gli Stati Uniti fossero indeboliti o incapaci di reagire efficacemente, il rischio di un’azione militare potrebbe aumentare. Ciò impone a Washington il compito, sempre più oneroso, di mantenere un ombrello di deterrenza credibile su scala globale.
Il tempo, peraltro, sembra giocare a favore di Pechino. La Cina può tollerare ritmi di crescita economica più moderati senza interrompere la modernizzazione militare. Gli Stati Uniti, invece, devono affrontare la frammentazione interna e il peso crescente delle crisi simultanee in Europa, Medio Oriente e Indo-Pacifico. L’equilibrio strategico è oggi più fluido e rischioso di quanto non lo fosse nel periodo della Guerra Fredda.
In questo contesto, la postura nucleare cinese sta subendo un’evoluzione profonda. Storicamente ancorata a una dottrina di “deterrenza minima” e No First Use, la Cina sta oggi costruendo una vera triade nucleare operativa. Con lo sviluppo di ICBM MIRV (DF-41), SSBN classe Jin e Type 096 armati con JL-2/3, e il prossimo bombardiere H-20 stealth, la Cina si prepara a competere anche sul piano della deterrenza strategica. I test con sistemi ipersonici e FOBS (Fractional Orbital Bombardment System) mostrano inoltre l’intenzione di eludere le difese americane e moltiplicare le opzioni di attacco. Il rischio più evidente è che questa trasformazione generi ambiguità operative tra armi convenzionali e nucleari, alimentando dinamiche di escalation involontaria.
La Cina, inoltre, non aderisce a nessun regime di controllo multilaterale degli armamenti e rifiuta il dialogo trilaterale con USA e Russia, contribuendo a un ambiente di crescente instabilità nucleare multipolare.
La Repubblica Popolare Cinese sta evolvendo da potenza regionale a potenza strategica globale. La sua spesa militare, anche se nominalmente inferiore, è mirata, qualitativamente crescente e fondata su un’integrazione stretta tra economia, tecnologia e apparato militare. La modernizzazione del PLA entro il 2027 e la proiezione verso il 2035 sono strumenti per modellare un ordine globale più favorevole agli interessi cinesi. La sfida per gli Stati Uniti non è soltanto contenere questa espansione, ma preservare la legittimità del proprio ruolo internazionale senza innescare proprio quelle crisi che si intendono evitare.
Pasquale Preziosa – già Capo di Stato Maggiore AM, oggi esperto del Comitato Scientifico dell’Eurispes e professore universitario di geostrategia.
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