Quel giorno d’estate che non si dimentica mai

La magia della partenza per il mare, tra nostalgia, sogni e piccole abitudini che sanno ancora commuovere

di Antonio Di Ieva

C’era un giorno speciale ogni anno. Non era Natale, né un compleanno. Non c’entravano i regali, né le cene di famiglia. Era quel giorno in cui si partiva per le vacanze al mare. Bastava il rumore delle valigie trascinate giù per le scale, il profumo di crema solare già aperta in macchina, ma anche quello del panino con la frittata caldo per il viaggio, la fretta di non dimenticare niente. Bastava quello per sentirsi vivi. Perché quel giorno, più di ogni altro, sapeva di libertà.

Era sempre la stessa scena, eppure ogni volta era nuova. Erano gli anni in cui eravamo bambini. Cambiavano le radio, i sedili, i costumi. Ma restava sempre la stessa emozione: quella corsa al mare, insieme.

Si partiva presto, subito dopo la fine degli esami scolastici, quando la luce era ancora azzurra e le strade vuote sembravano disegnate solo per noi. Un bimbo dormiva con la testa che dondolava sul sedile posteriore. Quello più grande, in piedi tra i due sedili anteriori, che faceva compagnia al Papà raccontando storie improbabili per tenerlo sveglio. La Mamma che sonnecchiava con la fronte contro il finestrino e un sorriso disegnato sul viso. Una famiglia qualunque, ma in quel momento la famiglia perfetta.

Appena arrivati a destinazione e aperto il portabagagli, i bimbi scappavano a piedi nudi verso la sabbia, urlando e ridendo, lasciando dietro di sé solo le impronte e una nuvola di felicità. La Mamma, ancora assonnata, li seguiva con passo lento ma deciso. Il Papà rimaneva lì, le mani sui fianchi, il cuore pieno di gioia a combattere con i bagagli e soprattutto a slacciare le cinture del portapacchi superiore colmo di ogni cosa. La famiglia dei vicini che aveva preparato il caffè e il suo profumo si mischiava alla salsedine del mare tipica delle prime luci del giorno.

Era questo, il mare: un ritorno a casa. Anche se casa era a centinaia di chilometri.

Milioni di italiani, in quelle estati lì, facevano lo stesso. Un’intera generazione cresciuta con le vacanze nel Salento, a Rimini, a Sabaudia, in Liguria, nel Cilento, nei campeggi dell’Adriatico, nelle pensioni a conduzione familiare dove la pasta arrivava con la passata fatta in casa. Secondo l’ISTAT, tra gli anni ‘60 e ‘80, oltre il 70% degli italiani trascorreva le ferie in Italia, e quasi tutti al mare (fonte: ISTAT, “Abitudini vacanziere degli italiani”, archivio storico). Era una festa nazionale non scritta, ma sentita.

E c’erano dei riti precisi: il ghiacciolo alla menta del casello autostradale, la tenda montata storta il primo giorno, il secchiello dimenticato e ricomprato ogni anno. La sosta a casa della Nonna a metà strada, per fare la colazione con la focaccia calda appena sfornata. Quell’abbraccio caldo, affettuoso che poi segnerà gli anni a venire e si ricorderà sempre con una gioia immensa. Si partiva per scappare dalla routine, certo, ma anche per rimettere insieme i pezzi“Erano giorni sospesi, dove ci si ricordava cosa voleva dire stare insieme”, ha raccontato lo scrittore Gianrico Carofiglio in un’intervista a la Repubblica (2022). “Il mare diventava il tempo che mancava, la distanza da tutto il resto”.

Non c’erano smartphone, né app meteo. Non c’erano gli scioperi degli assistenti di volo e i bagagli a misura per il check in delle compagnie aeree low cost. C’erano gli amici che ti aspettavano sulla spiaggia, al muretto, la via di casa di popolava di abbracci e feste. L’immancabile chitarra che stonava. C’era il cielo da guardare con il naso in su e la radio che gracchiava Battisti e Giuni Russo. I bambini si addormentavano con i capelli salati e il costume ancora umido. E gli adulti, anche quando stanchi, si sentivano protetti da un presente semplice, dove bastava poco per essere felici.

Col tempo tutto è cambiato. Le partenze ora sono silenziose, spesso solitarie. Si prenota online, si parte quando si può, si torna quando si deve. Ma quel giorno della partenza, quello vero, non se n’è mai andato. Vive dentro i racconti, dentro le fotografie ingiallite, nei sorrisi che ci scappano ogni volta che sentiamo l’odore di crema solare o il rumore delle onde alla radio.

E ogni tanto torna. Magari mentre stai guidando in autostrada, con uno dei tuoi figli che dorme sul sedile posteriore, e l’altro che ti fa domande senza sosta. Allora ti accorgi che quel giorno speciale è ancora lì, solo che ora sei tu a viverlo dall’altro lato.

Lo riconosci subito. Perché il mare ha un suono che non si dimentica. Perché ogni partenza racconta qualcosa di noi. Perché “in fondo, non si va in vacanza solo per riposare. Si parte per ritrovare chi eravamo”, scrive la giornalista Marina Terragni sul Corriere della Sera (2021).

E così, anche oggi, anche se le strade sono più trafficate e le macchine più silenziose, mi basta chiudere gli occhi un secondo per rivederli lì: Giuseppe che corre, Antonio che urla “aspetta!”, Nina che ride. E io che li guardo, fermo sotto il sole, grato a quel giorno speciale che ogni anno torna, puntuale, a ricordarmi chi siamo davvero.

Quel giorno d’estate che non si dimentica mai

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