Teheran, l’Europa tenta la via diplomatica: intelligence allarmate, nove testate nucleari iraniane quasi pronte

di Andrea Pinto

Le cancellerie europee sono in fibrillazione. Secondo rapporti riservati in possesso dei leader dell’Unione, scrive il Messaggero, l’Iran sarebbe a un passo dal disporre di ben nove testate nucleari. Le fonti, interne ai circuiti di intelligence del Vecchio continente, parlano di una soglia critica ormai vicinissima: l’uranio arricchito al 90%, necessario per la costruzione di un ordigno atomico, potrebbe essere prodotto nei laboratori sotto il controllo dei pasdaran “nel giro di pochi giorni”.

Lo scenario ipotizzato è tra i più allarmanti. Le testate nucleari, una volta pronte, potrebbero essere installate su missili balistici in grado di raggiungere alcune città europee. Un passaggio inquietante, sussurrato tra le righe dei dossier top secret ma già sufficiente a spiegare il brusco cambio di passo di molti leader Ue. Se fino a poche settimane fa Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Giorgia Meloni prendevano le distanze dalla linea dura israeliana su Gaza, oggi si mostrano apertamente a fianco del premier Netanyahu, legittimando i raid mirati su obiettivi strategici in Iran.

Il timore condiviso è che il programma atomico iraniano sia giunto a una fase di non ritorno. Lo ha reso evidente anche il clima teso nei colloqui di Ginevra, dove i ministri degli Esteri europei hanno incontrato l’inviato iraniano Abbas Araghchi, nel tentativo estremo di riaprire un canale diplomatico prima che il conflitto degeneri. Fonti europee citate sempre dal Messaggero riferiscono che Teheran ha già accumulato 8.400 chili di uranio arricchito al 60% — una quantità spaventosamente superiore al limite di 300 chili fissato dal Jcpoa, l’accordo siglato nel 2015 e poi disdetto unilateralmente da Donald Trump.

Secondo gli analisti occidentali, il passaggio dal 60 al 90% di arricchimento sarebbe tecnicamente possibile nel brevissimo termine, aprendo la strada alla fabbricazione di nove ordigni. Ma su questo punto si apre una frattura profonda con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), guidata da Rafael Grossi, che invece frena. I suoi esperti non ritengono che l’Iran sia ancora in grado di costruire né una bomba atomica né tantomeno di montarla su un missile balistico a lungo raggio. Un’opinione che però, secondo alcuni ambienti governativi, sarebbe figlia di anni di eccessiva prudenza e scarsa vigilanza.

Il rischio è considerato invece molto concreto dalle principali potenze europee. La possibilità che l’Iran possa combinare know-how scientifico e vettori a lunga gittata viene ormai presa in considerazione con estrema serietà. Anche perché i missili finora rimasti nascosti nei silos potrebbero diventare il mezzo per una minaccia reale all’Europa, nel caso il regime riuscisse a completare il caricamento delle testate.

Israele però stima che i suoi attacchi contro l’Iran abbiano ritardato di “almeno due o tre anni” la possibilita’ che Teheran sviluppi un’arma nucleare. Lo afferma il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar in un’intervista alla Bild. L’offensiva israeliana ha prodotto risultati “molto significativi”, ha dichiarato Saar al quotidiano tedesco, affermando: “Abbiamo gia’ ritardato di almeno due o tre anni la possibilita’ che Teheran ottenga una bomba nucleare”.

Non a caso il Senato statunitense dovrebbe ricevere la prossima settimana un briefing classificato da parte dell’amministrazione Trump sul conflitto in corso tra Israele e Iran. Una fonte anonima ha riferito all’emittente “Cnn” che il briefing e’ stato fissato per martedi’ prossimo. Si tratta del primo aggiornamento che il governo federale fornira’ alla camera alta del Congresso sulla situazione. Secondo le fonti, vi dovrebbero partecipare la direttrice dell’intelligence nazionale, Tulsi Gabbard; il direttore della Cia, John Ratcliffe; il vice segretario alla Difesa, Steve Feinberg; il generale Dan Caine, capo di Stato maggiore congiunto; e il vice segretario di Stato, Christopher Landau.

Israele in prima linea, costi enormi

Intanto Israele continua a sostenere lo sforzo bellico a caro prezzo. Secondo le stime riportate, il conflitto contro l’Iran costa ogni giorno circa 735 milioni di dollari a Tel Aviv. La ricostruzione delle infrastrutture danneggiate è stimata in almeno 400 milioni, mentre il sistema di difesa antimissile costa 4 milioni di dollari a intercettazione. I caccia F-35 impegnati nei raid hanno un costo operativo di 10.000 dollari l’ora di volo. Gli intercettori Arrow 3, fondamentali per contrastare i missili balistici, drenano circa 200 milioni di dollari al giorno. Fino a quando Tel Aviv potrà sostenere una guerra su più fronti, da sola?

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