Tra armi e cybersicurezza: l’Italia verso un obiettivo da 113 miliardi

La corsa agli armamenti dell’era post-2022 accelera. L’Alleanza Atlantica si prepara a rilanciare il proprio impegno sulla spesa militare con un obiettivo ambizioso: portare i Paesi membri a investire il 3,5% del Pil nella difesa. Un ulteriore 1,5% dovrebbe poi essere dedicato alla cybersicurezza e ad altri ambiti strategici ancora da definire. Una soglia che, per l’Italia, significherebbe raggiungere un livello di spesa annuo pari a 113 miliardi di euro.

Un primo passo: la manovra da 35 miliardi

L’ultima manovra finanziaria ha rappresentato un segnale chiaro: tra il 2025 e il 2039 l’Italia destinerà 35 miliardi aggiuntivi alla Difesa. Una somma significativa, che però – per ammissione dello stesso esecutivo – è solo un passo iniziale verso gli obiettivi fissati dalla Nato. Il Governo italiano sostiene di aver già centrato il target del 2% del Pil previsto dal Patto Atlantico, grazie all’applicazione di un criterio contabile più ampio, quello suggerito dal manuale Nato, che include una gamma più vasta di spese legate alla sicurezza nazionale.

Il nuovo obiettivo Nato: 3,5% più 1,5%

Tuttavia, l’asticella si alza. Il prossimo vertice Nato del 25-26 giugno dovrebbe ufficializzare il nuovo target: una spesa minima pari al 3,5% del Pil, a cui si affiancherà una raccomandazione per investimenti ulteriori – pari all’1,5% del Pil – in aree come cybersicurezza, difesa delle infrastrutture critiche, spazio, intelligence e contrasto alle minacce ibride.

Se si considerano i valori attuali del Prodotto interno lordo italiano, il solo passaggio dal 2% al 3,5% implicherebbe 33 miliardi di euro in più ogni anno. Oggi, infatti, il 3,5% del Pil vale 79 miliardi, a fronte di una spesa annua per la Difesa che oscilla intorno ai 46 miliardi (includendo le voci conteggiate con i criteri Nato). Con l’aggiunta dell’ulteriore 1,5% per cybersicurezza e altri settori, il fabbisogno complessivo toccherebbe quota 113 miliardi di euro annui.

Sette o dieci anni per adeguarsi

Di fronte a una simile proiezione, Roma chiede – insieme ad altri Stati europei – una gradualità nell’adeguamento, ipotizzando un percorso a sette o dieci anni. Ma il problema non è solo nel “quando”, bensì nel “come”. Il margine di bilancio a disposizione è ristretto. A meno di scelte drastiche o interventi straordinari, risulta complesso trovare spazio per un aumento strutturale della spesa di tale portata, soprattutto in un quadro macroeconomico in cui il ritorno ai vincoli di bilancio europei rende ogni margine di flessibilità più difficile da ottenere.

Il dilemma del debito comune europeo

Un’ipotesi sul tavolo – sostenuta da più voci, anche a Bruxelles – è quella di attivare un nuovo strumento di debito comune europeo, sul modello del Next Generation EU. L’obiettivo sarebbe quello di coordinare gli investimenti strategici nella difesa comune, alleggerendo il peso sui bilanci nazionali e favorendo la crescita dell’industria europea del settore. Ma l’Italia, in particolare, resta cauta su questa strada: teme che il ricorso al debito comune venga interpretato come una scappatoia per eludere le regole di bilancio o, peggio, come una richiesta di mutualizzazione del rischio sovrano.

Contabilità e mercati: due realtà diverse

Il Governo italiano punta molto sulla strategia dello “scorporo” contabile, ovvero l’esclusione delle spese militari e per la sicurezza dagli indicatori di deficit e debito previsti dalle regole Ue. Tuttavia, anche in caso di successo a Bruxelles, i mercati finanziari continueranno a valutare la sostenibilità del debito pubblico complessivo. In altre parole, anche se le spese per la Difesa fossero formalmente “fuori bilancio”, chi acquista BTp continuerà a tenerne conto nel calcolo del rischio paese.

Il percorso verso l’obiettivo Nato del 3,5% del Pil (più l’1,5% per la sicurezza digitale) rappresentao pertant una svolta epocale per la politica di bilancio italiana. Un cambiamento che richiede non solo risorse, ma anche una nuova visione strategica: sull’Europa della difesa, sul ruolo dell’Italia nello scacchiere atlantico e sulla capacità dello Stato di affrontare, in modo sostenibile, le sfide del futuro.

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