Trump, Netanyahu e l’inchiesta sul massacro di Hamas

di Antonio Adriano Giancane

Mentre la guerra in Medio Oriente continua a suscitare conflitti internazionali e tensioni politiche, le accuse e le minacce si intensificano. Donald Trump ha recentemente lanciato un ultimatum a Hamas, chiedendo la liberazione immediata degli ostaggi israeliani e la restituzione dei cadaveri delle vittime uccise durante l’attacco del 7 ottobre 2023. In caso contrario, ha minacciato che l’organizzazione dovrà affrontare gravi conseguenze, preannunciando un “inferno” da pagare in futuro, con un intervento diretto degli Stati Uniti.

Trump ha condannato con forza la crudeltà di Hamas, accusandolo di mantenere i corpi delle vittime in un gesto di disumanità, e ha messo in chiaro che non tollererà oltre questo comportamento. Hamas, tuttavia, ha immediatamente respinto le minacce, ribadendo che la liberazione degli ostaggi sarà possibile solo se Israele accetterà una tregua duratura e la cessazione delle ostilità nella Striscia di Gaza.

Nel contesto di queste minacce, il ruolo degli Stati Uniti si è fatto più determinante. Trump ha esercitato una pressione crescente su Hamas, ma si è trovato di fronte a una resistenza che insiste sulla necessità di negoziati per raggiungere una soluzione. Il portavoce di Hamas, Abdel-Latif al-Qanoua, ha affermato che la liberazione dei restanti ostaggi israeliani è possibile solo se ci sarà un accordo di cessate il fuoco che garantisca la fine delle ostilità e una pace stabile nella regione.

La questione degli ostaggi, dunque, è al centro di un delicato processo di negoziazione che, nonostante i tentativi in corso, non ha ancora trovato una soluzione. A oggi, Hamas ha liberato alcuni ostaggi, ma rimangono ancora 24 israeliani vivi e 34 corpi di vittime, simbolo drammatico della spaccatura tra le potenze internazionali e la resistenza palestinese. La comunità internazionale continua a premere affinché si giunga a una risoluzione pacifica della crisi.

Mentre il conflitto si aggrava, anche la politica interna israeliana è attraversata da forti tensioni. Lo Shin Bet, il servizio segreto israeliano, ha rivelato delle lacune nella gestione delle informazioni che hanno facilitato l’attacco di Hamas. In un rapporto che ha messo in difficoltà il governo israeliano, lo Shin Bet ha accusato il primo ministro Benjamin Netanyahu di aver sottovalutato la minaccia di Hamas, contribuendo a creare le condizioni che hanno portato al massacro del 7 ottobre, in cui sono stati uccisi 1.200 israeliani e 251 sono stati rapiti. L’intelligence ha anche accusato la decisione di permettere l’afflusso di fondi dal Qatar a Gaza, che avrebbe consentito a Hamas di armarsi e preparare l’attacco.

Il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, ha assunto la responsabilità per queste negligenze, ma ha accusato Netanyahu di aver minimizzato la minaccia. Questo rapporto è stato rilasciato poco dopo le dimissioni di Herzy Halevi, comandante in capo di Tsahal, che ha subito le critiche per non aver prestato attenzione ai segnali di allarme. In questo contesto di disordini interni, un recente sondaggio ha rivelato che il 60% degli israeliani chiede le dimissioni di Netanyahu, accusandolo di non aver gestito adeguatamente la sicurezza nazionale.

Il conflitto con Gaza è ora più complesso che mai, con una crescente divisione interna che mina la stabilità politica di Israele. Netanyahu ha opposto resistenza alla creazione di una commissione d’inchiesta indipendente, temendo che le sue conclusioni possano danneggiarlo politicamente, mentre la disputa con lo Shin Bet si intensifica. Al centro di questa controversia c’è il sostegno finanziario a Gaza, che Netanyahu ha promosso nel tentativo di spaccare il movimento palestinese e favorire la stabilità. Tuttavia, questa politica ha avuto l’effetto opposto, rafforzando Hamas, che ha utilizzato quei fondi per armarsi e pianificare nuovi attacchi.

La crisi di fiducia in Netanyahu è ormai evidente. L’intelligence ha sottolineato che la mancanza di informatori a Gaza ha reso possibile l’azione segreta di Hamas. Nonostante i segnali di allarme, come l’attivazione di SIM israeliane a Gaza il 6 ottobre, l’apparato di sicurezza israeliano non è riuscito a prevenire l’attacco.

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