🎥Alfie, verdetto della Corte inflessibile, non si muove dall’Inghilterra

   

Appello al Papa per spingere  i medici e giudici britannici ad avere un po’ di coscienza che, a dire del padre di Alfie, tengono il suo bambino “in ostaggio” nell’ospedale Alder Hey di Liverpool. Nel frattempo la Corte d’Appello di Londra ha dato il diniego definitivo al trasferimento in Italia.

Thomas Evans e’ stanco, ma non molla. Chiuso nella stanza di Alfie con la moglie Kate fa trascorrere la notte per smaltire la delusione dell’ennesimo verdetto contrario. Poi esce e annuncia di voler incontrare lo staff dell’Alder Hey: “Ora cominciamo a chiedere di portarlo a casa”. Le sue critiche ai dottori di Liverpool restano: “Hanno sbagliato diagnosi”, consideravano Alfie un malato terminale per la patologia neurodegenerativa che gli ha come spento una parte del cervello, mentre continua a respirare, per il terzo giorno dopo il ‘distacco della spina’ dalla ventilazione assistita. Ma detto questo, fa capolino la consapevolezza che la sentenza di ieri significa una cosa sola: che “c’e’ stato rifiutato di andare in Italia, purtroppo”. Malgrado la cittadinanza ottenuta “per motivi umanitari”. E allora non resta che negoziare con quei medici che in fondo vedono le cose soltanto con occhi troppo diversi dai suoi. Un negoziato che parte in sordina, fra la necessita’ di accettare di andarsi incontro e la richiesta quasi ultimativa che ad Alfie sia permesso di “andare a casa entro un giorno o due”, salvo “tornare in tribunale”. A fine giornata il muro sembra tuttavia scalfirsi: Tom torna di fronte alle telecamere dopo il faccia a faccia con gli uomini e le donne in camice bianco per dire di voler “costruire un ponte con l’ospedale”, per ringraziare “tutto lo staff”. E certo a non cedere alla tentazione della rabbia, di quei minacciosi insulti online che diversi medici britannici in queste ore denunciano. Parole assai diverse rispetto quelle di qualche ora prima quando, in un’intervista a Tv2000, papa’ Tom aveva implorato il Papa d’andare a Liverpool per “vedere come mio figlio e’ ostaggio di questo ospedale”. E allo stesso tempo per rivendicare Alfie come “parte della famiglia italiana”, per dirsi grato della mobilitazione della Penisola, della disponibilita’ degli ospedali di Genova e Roma, per affermare di sentire “il Papa vicino”, di non volersi arrendere con la moglie, pronti a fare “tutto il possibile per nostro figlio, nel nome di Dio” e per concludere quasi con un grido: “Noi apparteniamo all’Italia”. Un’Italia che d’altronde continua a far sentire la propria voce. Quella della politica, perlopiu’ polemica verso il Regno Unito. Quella dell’associazionismo e della Chiesa, che si mostrano sgomenti. E quello di gruppi spontanei che si riuniscono in una veglia a piazza San Pietro soprattutto per pregare. Alfie non arrivera’, ormai sembra chiaro. Ma il desiderio e l’ultima speranza di tanti restano quelli dei suoi genitori, ragazzi del popolo poco piu’ che ventenni. Un moto del cuore che Tom Evans spiega cosi’: “Io resto seduto accanto al letto di Alfie ogni secondo d’ogni giorno. Non soffre, non prova dolore e questo mi incoraggia sempre di piu’: mi auguro che possa vivere ancora un po’.

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