Cosa e’ successo nell’appartamento di via Spalato 124 a Macerata il 30 gennaio scorso quando venne uccisa e fatta a pezzi Pamela Mastropietro, la 18enne romana che si era allontanata il giorno prima dalla comunita’ terapeutica Pars di Corridonia? Il ritrovamento del Dna di una persona non coinvolta nell’inchiesta, appurato dagli accertamenti del Ris dei carabinieri di Roma depositati alla Procura di Macerata, fa sorgere il dubbio che il cerchio delle indagini che coinvolgono quattro nigeriani – tre sono in carcere, un quarto e’ indagato a piede libero, accusati di omicidio volontario, vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere – non sia stato chiuso. Tre sono i profili genetici trovati sul corpo della giovane: uno e’ di Innocent Oseghale, 29 anni, il nigeriano che abitava nell’appartamento di via Spalato, che accompagno’ la giovane ad acquistare una dose di eroina e che poi sali’ in casa con lei; un secondo appartiene a un tassista – non indagato – che il 29 gennaio, il giorno prima del delitto, si era intrattenuto con la ragazza; il terzo e’ di una persona al momento non identificata. Oseghale ha lasciato impronte in casa e su uno dei due trolley nei quali era stato trasportato a Pollenza il corpo fatto a pezzi di Pamela; avrebbe lasciato nell’appartamento mansardato anche un’impronta plantare sul sangue. Nessuna traccia invece degli altri due arrestati – Desmond Lucky, 22 anni, e Lucky Awelima, 29 anni – e del quarto indagato 38enne: tutti sono stati coinvolti in particolare in base a contatti e celle telefoniche. Lucky e’ stato tirato in ballo anche da Oseghale come pusher dell’eroina alla giovane. Ora, in particolare sui responsi degli accertamenti dei Ris, i difensori di Lucky e di Awelima si apprestano a dare battaglia: gli indagati hanno sempre sostenuto di essere estranei ai fatti. Altri particolari filtrano sulle cause della morte della ragazza e sulle sue condizioni prima del decesso. Secondo gli accertamenti tossicologici eseguiti dal prof. Rino Froldi, avrebbe assunto eroina – con ogni probabilita’ non per endovena – nei mesi precedenti alla morte: la conclusione deriverebbe dalle tracce di morfina trovate in varie parti del corpo ma anche dall’analisi del capello. I medici legali pero’ escludono la morte per overdose, in virtu’ del livello di concentrazione dello stupefacente; attribuiscono la causa del decesso alle due lacerazioni all’altezza del fegato riscontrate sul cadavere, inferte con un coltello dalla lama di oltre 10 cm. Anche su questa ricostruzione le difese non concordano e sono pronte a sfidare l’accusa, offrendo scenari alternativi.