(di John Blackeye) Tutti gli italiani si sono dati appuntamento sull’autostrada A1 in direzione Sud. Io avevo pensato “ingenuamente” di mettermi “comodamente” in viaggio alle sei del mattino per giungere a San Giovanni Rotondo per le nove e trenta. Sono invece passate cinque ore di viaggio e sono ancora imbottigliato in autostrada all’altezza di Avellino dove non oso immaginare se ci sia una ragione ma hanno lasciato aperti quattro o cinque cantieri. Risultato: milioni di macchine in fila indiana mentre i passeggeri non vedono l’ora di sottrarsi alla morsa del caldo e mettere finalmente i piedi nel mare da qualche parte nel nostro Sud Italia.
L’afa è tremenda. Non è possibile aprire nemmeno per un attimo i finestrini che una vampata di calore da quaranta gradi ti entra prima nell’abitacolo e dopo averti accarezzato il collo, ti penetra nei polmoni.
Con l’aria condizionata a palla e dopo quattro ore abbondanti di file, tra fermate e ripartenze giungo al casello di Candela che per me oggi, significa liberazione. Non liberazione spirituale ma liberazione da quell’inferno che diventa l’autostrada quando dimentichi che ci sono giornate da bollino rosso e da bollino nero e con tutta tranquillità entri nel casello per poi capire qualche secondo dopo che diventi parte integrante di una fila lunghissima di auto, che si autoalimenta da Milano a Palermo.
Indietro non si torna e allora da Candela a San Giovanni Rotondo mi faccio gli ultimi cento chilometri e mi ritrovo nel garage dell’Hotel dove ho prenotato dove capisci che anche quei posti infimi e sotterranei, d’estate, con la loro ombra…hanno il loro perché.
Nella hall trovo la Signora Mirella. È una figlia spirituale di Padre Pio. È la proprietaria della struttura. Siccome ci vado spesso in quello stesso albergo mi è capitato di parlarci più di una volta. Una volta mi raccontò questa storia. “Una signora di San Giovanni Rotondo aveva il figlio prigioniero di guerra in uno dei campi di concentramento tedeschi. La madre si recò da padre Pio per chiedere il suo aiuto ed il padre le assicurò preghiere. Un bel giorno, mentre il figlio era trattenuto prigioniero in quel campo, giunse al suo cospetto un uomo ben vestito, con giacca e cravatta, capelli brizzolati, che lo invitò a seguirlo. Il ragazzo fu preso da timore. Non credeva di essere lui il destinatario di quell’invito. Peraltro, pensava, nel momento in cui seguirò quest’uomo, tutti si chiederanno dove sto andando e le guardie mi prenderanno per mettermi in punizione. Ma mentre faceva tutti questi discorsi nella sua mente, capì che non aveva nulla da perdere e seguì quell’uomo così distinto che nel campo di prigionia si muoveva con sicurezza e determinazione.
In men che non si dica, quell’uomo accompagnò il ragazzo fuori dal campo e questo successe senza che alcuno, tutt’intorno, si fosse accorto di loro.
A quel punto, quell’uomo diede queste precise indicazioni al ragazzo. “Vai in quella casa dove c’è la luce accesa. Troverai una signora che parla italiano. Lei ti darà dei vestiti e ti dirà come tornare in Italia”. Quindi, così come era comparso, quell’uomo scomparve.
Il ragazzo non aveva scelta: andare avanti e seguire le indicazioni o tornare indietro. Scelse la prima. Bussò a quella casa e davvero trovò quella donna come gli era stato detto e così tutto il resto. Nel giro di qualche giorno era di nuovo in Italia.
Giunto a San Giovanni Rotondo la madre, commossa, abbracciò il figlio e gli disse che Padre Pio gli aveva fatto la grazia. Quindi, decisero di recarsi insieme dal Padre per ringraziare.
Quasi timidamente, ma certo di essere stato aiutato dal Santo Frate, il ragazzo approcciò padre Pio e sommessamente disse: “Padre, vi ringrazio per avermi aiutato”. Padre Pio lo fissò e con la pacatezza di chi sapeva cosa fosse successo rispose: “..e mica devi ringraziare me. Quello che è venuto a salvarti era il tuo Angelo Custode!”
Ecco, questa è una storia che mi ha raccontato la Signora Mirella, che oggi, con il suo sorriso, mi sta lasciando le chiavi della camera dopo aver fatto il check-in.
In fila in autostrada avevo quasi ceduto alla tentazione di desistere. Cinque ore di viaggio anziché tre ore mi erano sembrate una eternità ed avevo pensato che forse sarebbe stato meglio tirare dritto in autostrada per andare dritti verso il mio Salento per buttarmi in quelle acque limpide e scaricarmi da tutte le tossine che quel traffico mi aveva procurato.
Ma la decisione presa all’ultimo minuto, forse suggerita dal mio Angelo Custode, mi aveva fatto desistere dal mio intento e così, alle due del pomeriggio, sto salendo a piedi sulla via dei Cappuccini per andare ad incontrare il frate con le stigmate. Il Santuario è distante almeno quattrocento metri dal mio albergo e per strada approfitto e mi recito un Rosario, se non vado errato per le Anime del Purgatorio.
Un patto però è stato siglato fra me e il Santo.
Certo, manca la sua firma su quell’accordo, nel senso che il patto l’ho firmato solo io ma il patto è questo: oggi voglio una risposta.
Giungo nei pressi del Santuario quasi stremato dal Sole e dal caldo, entro nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Certo padre Pio è un Santo ma la Madonna è la Madonna. Quindi, entro prima a salutare Lei. Saluto la Vergine delle Grazie, vado a riverire anche Fra Daniele Natale che da poco è sepolto in quella Chiesa e poi mi avvio per la Cripta dove è custodito il corpo di padre Pio.
Quei duecento metri che separano la Chiesa vecchia dalla Chiesa nuova, sono l’ultimo tentativo del Sole d’agosto di prendermi le ultime risorse fisiche e lasciarmi per terra stremato. Ma anche quest’ultima disputa con il Sole d’Agosto, l’ho vinta io e stanco se non esausto, sto per scendere i primi gradini che mi porteranno alla cripta.
Purtroppo, e dico purtroppo perché per me è una stortura, appena entrati nella chiesa a forma di conchiglia, seguendo il percorso per la Cripta… a parte,…molto a parte…in una apposita sala vi è il Santissimo.
Infatti il Tabernacolo non è nella Chiesa nuova ma secondo i dettami del Concilio Vaticano II è stato posto a parte. Cioè, il centro del tutto, è al lato del tutto. Per me è una assurdità, tuttavia non posso farci nulla se non entrare nella Sala del Santissimo ed inginocchiarmi davanti al Tabernacolo. Come sempre si ripete davanti ai miei occhi la solita scena deprecabile. Questa volta sono due giovani famiglie, che con bambini, si aggirano persi per quella grande sala osservando tutto come se stessero osservando le opere d’arte esposte in un museo. Inginocchiato tra i banchi non posso fare a meno di vedere uno dei mariti che, imbracciando una super macchina fotografica, decide di immortalare in uno scatto quel grande monolite nero che si trova al centro dell’attenzione. Noto che una delle donna apprezza quel marmo nero in cui è incastonato il Tabernacolo ma non ho parole di biasimo perché davvero non si capisce che li dentro c’è il Tabernacolo contenente l’Altissimo nell’Eucarestia. Lanciando qualche scatto fotografico a destra e sinistra il capo famiglia si allontana per uscire dalla sala e la famigliola lo segue lentamente cercando di capire cosa stiano facendo in quel posto che grazie a due candelabri neri e funerei ai lati del monolite, darebbe più l’impressione di essere un cimitero (e non voglio essere irriverente).
Comunque, se mai avessero avuto qualche dubbio, io mi sono proposto a stragrande maggioranza di fugarglieli tutti. La votazione probabilmente è invalida visto che votavo solo io ma nel giro di un minuto mi sono approcciato al fotografo e gli ho detto: “Quello è il Tabernacolo”. Il ragazzo che avrebbe potuto avere diverse reazioni, ha scelto quella più educata e mi ha risposto: “Beh…effettivamente mi sembrava…”. A quel punto è subentrato il mio sfogo per la decisione di costruire il Cuore di quella Chiesa fuori dal suo corpo, cioé il Tabernacolo in una sala a parte. Staccare il Cuore dal corpo non mi pare possibile, ma con il Concilio Vaticano II ci sono riusciti.
Guardo il ragazzo e consapevole del fatto che sia lui che la moglie e i figli, come del resto alcune centinaia di persone che saranno entrate li dentro, sono passate davanti al Tabernacolo senza riconoscere la presenza di Gesù, gli ho raccontato una storiella. Visto lo sguardo del marito, prima mi si è avvicinata la moglie, di corsa poi i due piccoletti ed infine gli altri due giovani hanno capito che c’era qualcosa da sentire o che qualcosa di anomalo stesse accadendo e mi si sono fatti intorno a cerchio.
“Un giorno – ho detto – Padre Pio era nella chiesetta vecchia, di sera a pregare, e vedendo un frate che spolverava l’altare disse: “Fra Leone, andiamo a cenare, non è ora di spolverare”. Quel frate gli si avvicinò e rispose: “Non sono fra Leone”. “ E chi sei?”, replicò padre Pio. “Sono un’Anima del Purgatorio. Ho fatto qui il noviziato e siccome avevo l’incarico di pulire l’Altere, passavo e ripassavo davanti al Tabernacolo senza inginocchiarmi. Per questo motivo sono ancora in Purgatorio ma il Signore, nella sua infinità bontà, mi ha concesso di venire a chiedere a te quando potrò passare in Paradiso”. Padre Pio rimase a riflettere per un attimo e poi disse: “Ci andrai domattina quando celebrerò la S. Messa”. Quell’anima emise un urlo tremendo: “Crudele!” e poi scomparve. Padre Pio ne rimase scosso. Poi comprese. Il Signora aveva concesso a lui di mandare “immediatamente” quell’Anima in Paradiso ma padre Pio aveva deciso di mandarlo qualche ora dopo, al mattino del giorno seguente.
Ho detto a quel gruppetto che mi circondava: “Ci sono due insegnamenti in questo racconto di padre Pio. Il primo è che il Purgatorio è durissimo. Solo poche ore di permanenza in più devono procurare atroci sofferenze. Il secondo insegnamento è che quando si passa davanti al Tabernacolo, occorre inginocchiarsi ogni volta.
L’uomo che mi ascoltava attentamente, come pure tutti i presenti che con la bocca semi aperta e gli occhi fissi sulle mie labbra cercavano di capire se avevo altro da aggiungere, si è fermato a riflettere. Non so se abbia capito che lui era passato e ripassato a fotografare quel monolite con il Tabernacolo senza però inginocchiarsi. Tuttavia mentre tutti annuivano ed auspicavano una maggiore sacralità, io ho ritenuto di avere finito il mio intervento e con un sorriso ed un saluto mi sono congedato da loro.
In pochi passi mi sono ritrovato nel corridoio degli affreschi e poi sulla sinistra, la porta della Cripta. Noto che hanno cambiato il percorso della fila ma dopo pochi minuti mi ritrovo di fronte a padre Pio e come tutti, metto i mie polpastrelli sul vetro divisorio come per voler far sentire al frate la mia presenza.
La giornata l’ho passata in preghiera nella Cripta della Chiesa di San Pio e nella Chiesa di Santa Maria della Grazie.
Poi ad un certo punto ho deciso che era giunto il momento della Confessione. Nella chiesa vecchia iniziavano a confessare alle quindici e trenta così mi sono recato nell’area delle confessioni e nell’attesa ho letto i nomi dei sacerdoti che erano di turno quel pomeriggio: Joseph, Francisco, ecc. Tutti stranieri. Nessun frate italiano. E si, sono lontani i tempi in cui in confessionale potevi trovare fra Modestino da Pietrelcina ma padre Pio non tradisce mai. Infatti, durante la confessione quel frate africano mi ha dato una risposta che cercavo. Patto rispettato.
La sera abbiamo fatto la fiaccolata in processione con la Madonna delle Grazie ma ero davvero cotto. Quando ho visto che il sacerdote al termine della processione, dal pulpito iniziava a stordire i presenti con una solita omelia improvvisata della quale non riesci a comprenderne né il filo logico né i contenuti ma è solo una “insalata” di buone parole e di buoni suggerimenti, ho deciso che per me era giunto il momento di tornare in Albergo per riposare. Il giorno dopo mi aspettava San Michele Arcangelo nella grotta di Monte Sant’Angelo.