Acquistare farmaci in proprio nel mondo: manda in povertà estrema 100 milioni di persone

Denuncia OMS sulla spesa sanitaria globale. In Italia scade la soddisfazione dei cittadini

(di Nicola Simonetti) Pubblicato il rapporto  dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)sulla spesa sanitaria globale (Xu K, et al. Public Spending on Health: A Closer Look at Global Trends. WHO, 2019).

Secondo tale rapporto, la spesa sanitaria a livello globale è in continua crescita, rappresentando il 10% del prodotto interno lordo globale. Tale incremento è particolarmente consistente nei Paesi a basso o medio reddito, in cui la crescita si assesta intorno al 6% annuale, rispetto al 4% dei Paesi ad alto reddito.

Nei Paesi a medio e alto reddito, le spese sanitarie sostenute dai Governi sono in media di US$ 270 per persona mentre nei Paesi a basso reddito sono intorno ai US$ 60 per persona.

I Governi contribuiscono, in media, per il 51% alla spesa sanitaria, mentre più del 35% risulta pagata di tasca propria dai cittadini di ciascun Paese, percentuale considerata ancora troppo alta dall’OMS che denuncia che 100 milioni di persone, ogni anno, si trovano a ricadere nella povertà estrema come una conseguenza di tali spese.

“La salute è un diritto ed è necessario che tutti i Paesi mettano, tra le proprie priorità – ha detto Agnes Soucat, Health Systems, Governance and Financing Director dell’OMS – lo sviluppo di un sistema di cure primarie efficiente e costo-efficace, come primo passo per raggiungere la copertura sanitaria universale”.

A Roma, intanto, il 19 marzo scorso, sono state considerate, nel corso dell’ “Inventing for Life – Health Summit’ le grandi priorità della sanità pubblica a livello globale nella prospettiva della centralità dei pazienti e del difficile equilibrio tra innovazione e sostenibilità (presente la Nobel per la Pace 2011 Ellen Eugenia Johnson Sirleaf).

Un’indagine dell’Istituto Piepoli sulla percezione dei cittadini italiani in ambito sanitario ha rilevato che la maggioranza della popolazione (57%) è soddisfatta del nostro Servizio Sanitario Nazionale (nel 2018, invece, lo era il 65%: un dato in calo, quindi) ma chiede di fare di più su tempi d’attesa e prevenzione e sollecita più investimenti per tumori, malattie cardiovascolari e neurologiche mentre l’accesso alle cure è ritenuto ancora troppo disomogeneo sul territorio nazionale.

La centralità del paziente resta il criterio guida per identificare le priorità da affrontare e per misurare l’efficacia dei sistemi sanitari e la loro capacità di rispondere ai bisogni di salute.

Gli sforzi del Servizio Sanitario Nazionale, secondo le risposte all’inchiesta,  devono essere, nell’ordine, la riduzione dei tempi di attesa per esami e interventi (79%) e la prevenzione delle malattie (51%) seguiti dal sostegno alle fasce deboli, come famiglie a basso reddito, malati cronici, disabili (49%).

Le risposte sottolineano il tema dell’uguaglianza di accesso alle prestazioni sanitarie: secondo la quasi totalità del campione (97%) oggi vivere in alcune Regioni piuttosto che in altre comporta opportunità disuguali di accesso alle terapie innovative. La conseguenza è che per il 64% del campione in Italia le persone non accedono rapidamente alle terapie innovative, in particolare quelle per il cancro (33%), le malattie neurologiche (19%), le malattie cardiologiche (16%).

Altro aspetto critico è quello che riguarda i tempi di attesa troppo lunghi per avere una prima visita specialistica (44%), per fare gli esami diagnostici necessari (37%), per ricevere la terapia (22%) e per ottenere una visita di follow up (19%).

Il Medico di famiglia si conferma un punto di riferimento per il 49% degli intervistati e il 36% si rivolge al medico di famiglia prima di rivolgersi a uno specialista.

Ma proprio il medico di famiglia, cardine della centralità del paziente, è soggetto a limitazioni nella prescrizione dei farmaci: l’81% degli italiani vorrebbe che il medico di famiglia potesse prescrivere anche i farmaci innovativi.

In contemporanea, il presidente FOFI (Federazione  Ordini Farmacisti), Andrea Mandelli, ha dichiarato che “una volta venute meno le esigenze di monitoraggio intensivo, e se non si tratta di medicinali riservati all’uso ospedaliero, anche i farmaci innovativi devono poter essere prescritti e dispensati sul territorio…Continuare per mere ragioni economiche a escludere dalla prescrizione del medico di famiglia farmaci che si sono rivelati sicuri quanto quelli tradizionali e più efficaci, o continuare a seguire come in altri casi la via della distribuzione diretta presso le ASL, anziché nelle farmacie, si traduce innanzitutto in un disagio per i cittadini e in un possibile peggioramento della qualità delle cure. Sfortunatamente il caso del diabete non è isolato, e ci auguriamo che anche a questo proposito si imbocchi la strada del potenziamento dell’assistenza sul territorio”.

L’indagine Piepoli ha confermato che il  medico di famiglia è considerato la fonte più attendibile per le informazioni sanitarie (60% degli intervistati), mentre internet è attendibile solo per il 14%.

Le fake news restano percepite come una minaccia: ben l’87% degli italiani ritiene che siano pericolose per la salute delle persone, e 1 intervistato su 3 ha ammesso di aver creduto almeno una volta a una fake news. I vaccini (47%) l’ambito più gettonato, seguito dai tumori (42%).

Per l’83% degli italiani, il settore in cui è più importante investire per favorire l’innovazione è la Sanità, seguita dall’Educazione. Tra le patologie in cui gli italiani vorrebbero vedere maggior investimenti, i tumori sono al primo posto, con ben il 69% delle preferenze, seguiti dalle malattie cardiologiche (28%) e neurologiche (26%).

Acquistare farmaci in proprio nel mondo: manda in povertà estrema 100 milioni di persone

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