India: Maxi tangente Agusta Westland, le indagini continuano

Il portale di informazione Jurno riporta un interessante articolo sulla, oramai annosa vicenda Agusta-Westland in India.

Parliamo della cospicua somma, oltre 50 milioni di euro, pagata nel 2010 da AgustaWestland per aggiudicarsi un contratto di 556 milioni relativo alla vendita di 12 elicotteri in configurazione VIP, destinati al trasporto dei membri del Governo di Delhi. La cifra sarebbe stata gestita da tre intermediari di varie nazionalità e versata in parte all’allora capo dell’Indian Air Force affinché cambiasse i requisiti della gara d’appalto e permettesse ad Agusta di vincerla.

Una seconda parte della maxitangente sarebbe finita nelle loro tasche e una terza, si dice, tornata in Italia e confluita, dopo un vorticoso giro del mondo tra società offshore e paradisi fiscali. In Italia si attende sulla vicenda il verdetto della Corte di Cassazione, cui hanno fatto ricorso la Procura di Milano, l’Agenzia delle Entrate e il Ministero della Difesa  indiano dopo l’assoluzione al processo d’appello-bis degli imputati di corruzione internazionale: gli ex amministratori delegati di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, e di AgustaWestland, Bruno Spagnolini.

Nel frattempo in India l’indagine prosegue. Lo scorso dicembre il CBI, agenzia investigativa federale indiana, ha ottenuto l’estradizione da Dubai del più importante dei tre intermediari coinvolti nell’affare, il britannico Christian Michel, colui che avrebbe gestito il rientro di parte della presunta tangente in Italia. E’ di ieri la notizia che la sua richiesta di libertà provvisoria su cauzione è stata rifiutata dal giudice incaricato del caso.

Qualche giorno fa l’India ha ricevuto e messo in custodia cautelare, sempre dopo estradizione concessa dagli Emirati Arabi, un altro personaggio-chiave, il lobbysta Rajiv Saxena, accusato di essersi occupato, insieme a Michel, del riciclaggio della tangente attraverso le sue società finanziarie di Dubai, delle Mauritius e di altre amene parti del globo. Non ha torto dunque il ministro Jaitley quando afferma che nessuno riesce a nascondersi se imbroglia l’India, Paese quanto mai orgoglioso e tenace come la sua storia ben dimostra. Va segnalato che, nel frattempo, il famoso contratto da 556 milioni è stato annullato e l’ex Finmeccanica (oggi Leonardo) è bandita dalle gare d’appalto indiane da quasi sei anni.

Al riguardo, del mondo parallelo tra industria e malaffare è uscito in questi giorni un libro del giornalista Alessandro Da Rold Pecunia non olet, pubblicato dall’editore milanese Chiarelettere.

Il volume di Da Rold è dedicato in particolare alle supposte attività di intermediazione svolte in Africa a favore di Agusta-Westland da un importante boss mafioso latitante, Vito Roberto Palazzolo, il tesoriere di Riina e Provenzano. Ma colloca la vicenda africana sulla tela di fondo della cultura gestionale e delle modalità operative del gruppo statale in quegli anni, in cui svetta in particolare la mega-tangente pagata in India. Scrive infatti Da Rold:

«La “tangente indiana” è, di tutta la tormentata vicenda Finmeccanica, l’episodio più ampio per entità e conseguenze economiche, più delicato dal punto di vista delle relazioni internazionali. Tuttavia non si può dimenticare che si tratta solo della punta di un iceberg, che emerge in quell’“unitario disegno criminoso” evocato da Rosario Cantelmo (uno dei pm napoletani che hanno indagato su Finmeccanica – nda) e dimostrato dalla quantità e continuità di comportamenti ai limiti del lecito di cui la prima azienda italiana di difesa ha dato prova negli anni.

Al di là delle responsabilità individuali, che spetta solo alla giustizia acclarare, la causa di questi eventi risiede probabilmente in un clima culturale, purtroppo comune a molte aziende di matrice statale, dove l’etica è fragile e viene considerata quasi un vezzo o un’ingenuità. E chi la pratica o la difende è visto come un pazzo o un “pericolosissimo” troublemaker e quindi isolato da un sistema interessato a promuovere non tanto la propria evoluzione, quanto la propria sopravvivenza.»

Le ultime parole si riferiscono a Francescomaria Tuccillo, avvocato e manager napoletano, in quegli anni direttore della regione Africa subsahariana di Finmeccanica. Tra gli obiettivi che gli erano stati assegnati c’era, sulla carta, quello di ripulire la vasta rete di intermediari commerciali, eticamente assai discutibili, che il gruppo impiegava nei mercati africani. Così fece, arrivando anche a denunciare la presenza del latitante Palazzolo – da lui incrociato in un convegno a Luanda, incredibilmente organizzato dalla nostra Ambasciata – «in luoghi in cui non sarebbe dovuto essere, a fare cose che non avrebbe dovuto fare».

Invece di un encomio, questa sua opposizione alla cultura dominante gli sarebbe costata molto in termini personali e professionali perché, per citare ancora Da Rold, «in ogni sistema di potere opaco e chiuso al nuovo, succede spesso che qualcuno indichi la luna e tutti guardino il dito».

 

India: Maxi tangente Agusta Westland, le indagini continuano