Gli artigiani si “arrendono”: negli ultimi 10 anni sono diminuiti di quasi 300 mila unità

Fiaccati dal boom degli affitti, dalle tasse, dall’insufficiente ricambio generazionale, dalla contrazione del volume d’affari provocato dalla storica concorrenza della grande distribuzione e, da qualche anno, anche dal commercio elettronico, gli artigiani stanno diminuendo in maniera spaventosa. Negli ultimi 10 anni, infatti, il numero dei titolari, dei soci e dei collaboratori artigiani iscritti all’Inps è crollato di quasi 300 mila unità, per la precisone 281.925 (dato relativo al 2021. Quello relativo al 2022 verrà pubblicato nei prossimi mesi. Rispetto al 2020, annus horribilis per l’economia del nostro Paese, nel 2021 c’è stata una leggera ripresa del numero degli artigiani, ma ancora del tutto insufficiente a ritornare al livello pre Covid che, riteniamo, non raggiungeremo nemmeno con i dati del 2022).

È un’emorragia continua che sta colpendo, in particolar modo, l’artigianato tradizionale, quello che con la sua presenza, storia e cultura ha contrassegnato, sino a qualche decennio fa, tantissime vie delle nostre città e dei paesi di provincia. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.

Con saracinesche abbassate città più insicure

Basta osservare con attenzione i quartieri di periferia e i centri storici per accorgersi che sono tantissime le insegne che sono state rimosse e altrettante sono le vetrine non più allestite, perennemente sporche e con le saracinesche abbassate. Sono un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane. Le città, infatti, non sono costituite solo da piazze, monumenti, palazzi e nastri d’asfalto, ma, anche, da luoghi di scambio dove le persone si incontrano anche per fare solo due chiacchere. Queste micro attività conservano l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio. 

Insomma, con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani. Una platea sempre più numerosa della popolazione italiana che conta più di 10 milioni di over 70. Non disponendo spesso dell’auto e senza botteghe sottocasa, per molti di loro fare la spesa è diventato un grosso problema.

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Tanti mestieri a rischio estinzione

Sono molti i mestieri artigiani in via di estinzione e le cause che hanno provocato questa situazione sono molteplici: innanzitutto sono cambiati i comportamenti d’acquisto dei consumatori, dopodiché le nuove tecnologie hanno spinto fuori mercato tante attività manuali e la cultura dell’usa e getta ha avuto il sopravvento su tutte le altre, penalizzando, in particolar modo, coloro che del riuso e della riparazione di oggetti e attrezzature ne avevano fatto una professione. In sintesi, segnala l’Ufficio studi della CGIA, i mestieri artigiani tradizionali in declino sono:

  • autoriparatori (verniciatori, battilamiera, meccanici, etc.);
  • calzolai;
  • corniciai;
  • fabbri;
  • falegnami;
  • fotografi;
  • impagliatori;
  • lattonieri;
  • lavasecco;
  • materassai;
  • orafi;
  • orologiai;
  • pellettieri;
  • restauratori;
  • ricamatrici;
  • riparatori di elettrodomestici;
  • sarti;
  • stuccatori;
  • tappezzieri;
  • tipografi.

Per contro, invece, i settori artigiani che stanno vivendo una fase di espansione importante sono quelli delle aree appartenenti al benessere e all’informatica. Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un forte aumento degli acconciatori, degli estetisti, dei massaggiatori e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. Purtroppo, l’aumento di queste attività è insufficiente a compensare il numero delle chiusure presenti nell’artigianato storico, con il risultato che la platea degli artigiani è in costante diminuzione.  

L’artigianato va tutelato, lo prevede l’Art. 45 della Costituzione

Secondo l’Ufficio studi della CGIA, non è da escludere che per evitare la desertificazione delle botteghe in atto soprattutto nei centri storici, fra qualche decennio lo Stato dovrà sostenere con finanziamenti diretti coloro che vorranno aprire una attività artigianale o commerciale. Altrimenti sarà molto difficile che qualcuno avvii una piccola realtà spontaneamente. Prima di arrivare a questo punto di non ritorno, l’artigianato andrebbe tutelato, così come previsto dall’Articolo 45 della Costituzione. Qualche iniziativa interessante è stata sperimentata durante il Covid. Molti comuni, ad esempio, si sono fatti carico dei costi per la consegna a domicilio dei prodotti acquistati nei piccoli negozi.  Più in generale, comunque, andrebbero azzerate per queste attività di prossimità le tasse locali (Imu, Canone patrimoniale unico, Tari, Irpef, etc.) e attivati a livello comunale dei tavoli di concertazione, tra le associazioni di rappresentanza dei proprietari e degli artigiani, con l’obbiettivo di trovare degli accordi che garantiscano ai locatori che aderiscono all’iniziativa la possibilità di beneficiare di una serie di agevolazioni economiche che in parte dovrebbero essere  “riversate” sul locatario, abbattendogli il canone d’affitto. Per fare tutto questo, ovviamente, lo Stato centrale dovrebbe ogni anno trasferire ai Comuni le risorse necessarie per coprire le spese in capo a questi ultimi. 

Il crollo ha riguardato, in particolar modo, Teramo, Vercelli e Lucca. A livello nazionale, in controtendenza solo Napoli

Le province più colpite dalla riduzione del numero degli artigiani sono state Rovigo (-2.187 pari a una variazione del -22,2 per cento), Massa-Carrara (-1.840 pari a -23 per cento), Teramo (-2.989 pari a -24,7 per cento), Vercelli (-1.734 pari a -24,9 per cento) e Lucca (-4.945 pari a -25,4 per cento). Delle 103 province monitorate in questo ultimo decennio, solo Napoli ha registrato una variazione positiva (+58 pari al +0,2 per cento).

Gli artigiani si “arrendono”: negli ultimi 10 anni sono diminuiti di quasi 300 mila unità