Quando il virus colpisce il capo del gregge

(di John Blackeye) Eravamo rimasti basiti ascoltando le parole del Premier inglese Boris Johnson perché, almeno per quanto mi riguarda, non avevamo mai sentito parlare di “immunità di gregge”.

Poi, approfondendo il concetto si era capito che l’immunità di gregge è una delle linee d’azione da seguire in caso di epidemia mondiale ed equivale a dire che di fronte all’aumento dei contagi, degli ammalati e dei deceduti, bisogna rimanere quasi inermi, lasciando soli i cittadini nella guerra contro il virus. Coloro i quali alla fine della lotta restano in piedi, cioè vivi e guariti, rappresentano la parte di popolazione sana, quella immunizzata, che in Gran Bretagna si definisce gregge. Gli altri, ahimè, non meritavano di vivere. Peccato però che questa teoria ha un lato effettivamente molto scuro, cioè una buona parte della popolazione dovrebbe essere lasciata al suo destino. Se sei forte sopravvivi, se sei debole, era colpa tua, e muori.

E pensare che noi che in Italia abbiamo mutuato pure il nome del Ministero della Sanità o Salute dalla Gran Bretagna, convertendolo nell’inglesissimo Ministero del Welfare. Certo, se gli inglesi la salute dei cittadini la tutelano così è preferibile ritornare all’italianissimo Ministero della Salute.

In sostanza, Boris Johnson aveva un po’ preavvisato gli inglesi parafrasando quasi un modo di dire romanesco e cioè: “A chi tocca nun se ‘ngrugna”, in sintesi, non si arrabbi a chi tocca di subire il contagio.

Con questa affermazione il primo ministro inglese aveva lasciato intendere che la policy d’oltre manica – a differenza di quanto accadeva in Italia e in altre parti del mondo dove i malati venivano curati – era quella di non combattere la pandemia con massicci interventi sanitari ma attendere che tutto passasse da se, con gran risparmio per le casse dello Stato e meno sforzi in termini di mobilitazione generale.

Ospedali, medici ed infermieri avrebbero, in una logica poco lucida, dovuto attendere che il virus mietesse le proprie vittime per poi fare i conti, a fine pandemia, di quanti ne fossero rimasti “immuni”( nel gregge) e quanti fossero passati a miglior vita.

Le cose non sono poi andate proprio così perché man mano che la gente ha cominciato ad accusare i sintomi provocati dal coronavirus si è presentata nell’ospedale più vicino e o vuoi, o non vuoi, anche la Gran Bretagna si è ritrovata con le corsie intasate di ammalati da intubare e con il contingente di medici ed infermieri impegnati in turni senza riposo.

L’auspicio del primo ministro, di lasciar passare il coronavirus sull’Isola senza opporre resistenza, non ha funzionato.

Così la teoria dell’immunità di gregge è passata subito in seconda pagina, poi in terza e poi in quarta.

Ora però il coronavirus ha centrato e colpito in pieno proprio il primo ministro Boris Johnson che ha dichiarato di essere positivo.

E a questo punto tutta la comunità internazionale, dovrebbe invocare la stessa grande coerenza che il condottiero della Brexit ha portato avanti a spada tratta. Coerenza nelle parole e coerenza nei fatti. Voleva l’immunità di gregge, ora rifiuti le cure. Solo così capiremo che quest’uomo non era uno sprovveduto ma un uomo di parola.

Quando il virus colpisce il capo del gregge