Per dovere di cronaca è corretto precisare che il giudice dell’indagine preliminare di Milano Sofia Fioretta ha archiviato (come chiesto dalla Procura, pm Giovanni Polizzi) l’ultima parte del procedimento ancora aperto che riguardava gli affari di Eni nel Congo. Ha preso atto che dal Principato di Monaco non sono mai arrivati i documenti bancari richiesti per rogatoria fin dal 2018, che avrebbero potuto eventualmente chiarire i rapporti finanziari tra uno degli indagati, Alexander Haly, e i coniugi Claudio Descalzi (amministratore delegato di Eni) e Marie Madeleine Ingoba. L’iniziale ipotesi d’accusa, tutta da verificare, era che Haly fosse una sorta di prestanome della famiglia Descalzi-Ingoba.
Di seguito i fatti,secondo un editoriale del periodico l’Espresso.
L’Espresso con un articolo di Paolo Biondani e Stefano Vergine riporta l’indagine della polizia francese su Julienne Sassou Nguesso, figlia del dittatore congolese ex generale Denis Sassou Nguesso, e l’irruzione nella villa del tesoriere del regime, Hubert Pendino. A quanto pare il nome della moglie dell’Ad di ENI De Scalzi, Marie Madeleine Ingoba Descalzi, sarebbe uscito dall’esame dei documenti dell’indagine transalpina.
“Nella villa del presunto tesoriere-riciclatore del regime, accusato di aver reinvestito in Francia centinaia di milioni sottratti alla poverissima popolazione della Repubblica del Congo, i gendarmi di Parigi hanno sequestrato un archivio riservatissimo: conti esteri, proprietà immobiliari, atti di società offshore. E in quelle carte hanno trovato anche un nome che chiama in causa l’Italia: Marie Madeleine Ingoba Descalzi, la moglie dell’amministratore delegato dell’Eni. La più grande azienda pubblica italiana, che ha forti interessi nei giacimenti di gas e petrolio dell’ex colonia francese, con capitale Brazzaville, dove è presidente a vita l’ex generale Denis Sassou Nguesso, salito al potere nel lontano 1979. Mister riciclaggio, miss Congo e lady Eni. Tra gli inquirenti vengono chiamati così i tre presunti titolari di una misteriosa società dell’isola di Mauritius emersa con quella perquisizione ordinata dai giudici istruttori di Parigi. La ditta si chiama African Beer Investment Ltd ed è una offshore a pieno titolo: può gestire affari in tutto il mondo (“global business”), ma ha sede in quell’arcipelago dell’Oceano Indiano dove, come scrivono i professionisti locali, «la tassazione massima è del tre per cento». Un paradiso fiscale. L’altro vantaggio è l’anonimato; i nomi degli azionisti non sono pubblici e nemmeno i bilanci. Gli atti registrati dicono solo che è una società costituita nel luglio 2012 in un grattacielo di Ebene, la città più moderna del Paese, e che risulta tuttora attiva. I nomi dei presunti titolari si ricavano solo dall’inchiesta della polizia francese, che li ha identificati così: Julienne Sassou Nguesso, la figlia prediletta del presidente padrone del Congo; Hubert Pendino, ricchissimo imprenditore nonché sospetto gestore dei tesori del dittatore; e la signora Ingoba Descalzi, che è cittadina congolese e ha conosciuto il marito quando il manager italiano guidava la filiale dell’Eni in quella nazione africana. A Parigi la magistratura indaga su centinaia di milioni di dollari usciti dalle casse statali del Congo e reinvestiti in Francia per comprare decine di ville, appartamenti e alberghi di lusso. La maxi-inchiesta, chiamata “Biens mal acquis” (beni acquistati illecitamente), riguarda la cerchia del presidente. Nel giugno 2017 l’indagine ha coinvolto anche la figlia, Julienne Sassou Nguesso, 50 anni, e suo marito, Guy Johnson, accusati di riciclaggio e sottrazione di fondi pubblici per decine di milioni, trasferiti in Europa attraverso società offshore con base a Hong Kong, Seychelles e Mauritius. Nella Repubblica del Congo (ex Congo francese), secondo l’Onu, metà della popolazione vive con un euro al giorno. Hubert Pendino è amico intimo del presidente Sassou Nguesso ed è il più ricco dei suoi presunti «prestanome», come lo definiscono i giudici francesi. Nell’ex Congo francese controlla ufficialmente la Socofran, una grossa impresa che ha realizzato grandi opere pubbliche, su concessione statale, e di recente ha ottenuto appalti privati anche da aziende partecipate dall’Eni, come i lavori da 40 milioni di dollari per la costruzione di una megacentrale elettrica (Cec). Oltre alla Socofran, Pendino in Congo possiede un impero immobiliare ed è anche azionista e presidente di una banca. Ora le carte dell’inchiesta
francese, secondo i giudici, documentano il suo ruolo segreto di gestore di decine di offshore utilizzate per acquistare ricchissimi patrimoni immobiliari per la figlia e altri familiari del presidente. In queste settimane le indagini hanno registrato sviluppi drammatici. In settembre due ex agenti dei servizi segreti francesi per l’estero (Dsge) sono stati incriminati con l’accusa di aver progettato di assassinare il leader dell’opposizione congolese, l’ex generale Ferdinand Mbaou, da anni esule in Francia, dove guida un comitato contro la dittatura che ha denunciato anche la corruzione del regime di Sassou Nguesso, mettendo in moto l’inchiesta “Bien mal acquis” Sventato l’omicidio, i due ex 007 francesi sono ora accusati di associazione per delinquere e detenzione di esplosivi. Da anni l’Eni è la multinazionale più importante del Congo francese: il gruppo italiano estrae circa un terzo di tutto il petrolio locale e controlla molti ricchi giacimenti di gas. L’amministratore delegato Claudio Descalzi iniziò la sua carriera proprio qui, diventando nel 1994 il direttore di Eni Congo. Nominato a capo del gruppo statale nel 2014 dal governo Renzi, dopo le elezioni ha trovato l’appoggio della Lega. A differenza del suo predecessore, Paolo Scaroni, designato da Berlusconi, Descalzi ha sempre lavorato all’Eni come tecnico e non è mai stato condannato per corruzione. Oggi è uno dei dirigenti imputati a Milano di aver autorizzato una presunta maxi-tangente in Nigeria, che risale però al 2011, quando il gruppo era ancora guidato da Scaroni. Di recente la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta anche sul Congo, ipotizzando che un altro manager di punta dell’Eni, Roberto Casula, abbia intestato quote milionarie di un giacimento (attraverso altre offshore) a una sua amica e presunta prestanome. Descalzi non è mai stato accusato di aver incassato soldi personalmente. In nessuna indagine italiana era mai comparsa la società anonima di Mauritius che, secondo gli inquirenti francesi, accomuna la moglie del numero uno dell’Eni con la figlia e il tesoriere del presidente congolese. La African Beer sembra gestire attività in linea con la denominazione: fabbriche di birra. Nella carte sequestrate a Pendino ci sono anche richieste di acquisto dei macchinari per birrifici. Lo stesso presunto tesoriere del regime, sempre secondo le indagini francesi, gestiva anche offshore che ha siglato ricchi contratti con l’Eni. Il gruppo italiano dichiara nei suoi bilanci, in particolare, di aver comprato una quota di un giacimento in Congo, nel 2009, da una società chiamata Courrat, senza altre precisazioni. Il nome completo è Courrat Assets Incorporated: è una offshore di Panama. Le carte dello studio Mossack Fonseca, pubblicate dal consorzio giornalistico Icij, mostrano che il titolare ha preteso di restare anonimo perfino a Panama. Ora gli atti sequestrati in Costa Azzurra hanno convinto gli inquirenti francesi che il dominus della Courrat sia proprio Pendino. L’Eni in Congo ha ottenuto quote di un altro blocco petrolifero con un’operazione diversa, cioè comprando la società che lo possiede: una offshore delle Bahamas, denominata Zetah Kouilou Ltd. Un acquisto regolarmente segnalato nei bilanci italiani. Prima di passare sotto l’Eni, anche la società delle Bahamas era gestita dallo studio Mossack Fonseca di Panama. E anche in questo caso il titolare non si era fatto identificare. Nelle email dei Panama Papers, però, la Zetah Kouilou viene sempre associata a una seconda offshore, che ha registrato almeno il nome dell’amministratore unico: Humbert, poi corretto in Hubert, Pendino, ovvero il presunto tesoriere del presidente del Congo“.