10 ottobre: “Obesity day”

(di Nicola Simonetti) 10 ottobre: “Obesity day” ovvero l’obesità da non criminalizzare, da non prospettare come problema estetico ma quale essa, in effetti, è: una malattia. Opportuno non indicare più questi soggetti con il termine “obesi” ma come “persone con obesità”.

La campagna nazionale per la sensibilizzazione e la prevenzione dell’obesità e del sovrappeso, promossa dall’ADI, Associazione italiana di Dietetica e nutrizione clinica e stata presentata oggi a Roma in contemporanea con la firma del Manifesto dell’Italian Obesity Network, documento voluto e sostenuto da dieci società scientifiche del settore vuole porre all’attenzione delle istituzioni le azioni da intraprendere per affrontare la patologia e combattere lo stigma sociale dell’obesità.

In Italia è sovrappeso oltre 1 persona su 3 (36%, con preponderanza maschile: 45,5% rispetto al 26,8% nelle donne), obesa 1 su 10 (10%), diabetica più di 1 su 20 (5,5%) e oltre il 66,4% delle persone con diabete di tipo 2 è anche sovrappeso o obeso.

Per la prima volta, al mondo, gli obesi hanno superato i denutriti.

“L’obesità è una patologia epidemica da affrontare in maniera integrata. Gli interventi di prevenzione, finora adottati – fa rilevare Giuseppe Fatati, presidente Fondazione ADI e IONet –  si sono dimostrati inefficaci perché basati sul paradigma della responsabilità personale, ovvero il soggetto ingrassa perché non rispetta le regole. Al contrario l’obesità è una condizione complessa che deriva dall’interazione di fattori genetici, psicologici e ambientali. Da qui la volontà di unirsi in maniera sinergica al monito lanciato dalla campagna mondiale del World Obesity Day che dice stop allo stigma del peso, alla colpevolizzazione, al bullismo e alle discriminazioni sociali.”

Come affrontare il problema in maniera integrata?

Il Manifesto individua quattro azioni urgenti per contrastare lo stigma e tracciare una road map di dieci punti su cosa e come intervenire:

  1. Abbandonare l’uso di immagini negative e linguaggi inappropriati. Evitare gli stereotipi e tenere il focus sulla gravità della malattia soprattutto nelle immagini a scopo informativo e divulgativo.
  2. Combattere le discriminazioni sui luoghi di lavoro e il bullismo nelle scuole. Implementare politiche e campagne di informazione che proteggano i dipendenti e gli studenti, con rispetto per la persona indipendentemente dal peso.
  3. Attuare politiche governative a favore di una migliore disponibilità e accesso a cibo nutriente riducendo la commercializzazione di opzioni meno sane. Introdurre protocolli di pianificazione che migliorino gli ambienti urbani, assicurino la pedonabilità e l’uso di spazi verdi e favoriscano più attività motoria . Garantire il pieno accesso alle cure e ai trattamenti medici.
  4. Instaurare una relazione positiva, realistica e solidale tra medico e paziente. Migliorare l’efficacia delle cure anche attraverso l’uso di un linguaggio appropriato come “alto BMI” e “peso” preferibili a parole come “obeso” e “sovrappeso”. Anteporre la malattia al paziente, usando espressioni come “hai l’obesità” al posto di “sei obeso”.

Il grasso fa male quanto il fumo e – avverte “Cancer Research Uk” – il sovrappeso aumenta il rischio di sviluppare 13 diversi tipi di tumore. Il “Cancer Research Uk” mette in guardia le donne: entro il 2035, il cancro grasso-dipendente avrà colpito ben 23mila  di loro mentre quello fumo-dipendente 25.000. L’obesità punisce più le donne che l’uomo. “L’obesità, sottolinea  Alison Tedstone (Servizio sanitario inglese – Nhs) è il nuovo fumo”.

Va anche rilevato che sia l’obesità che il fumo, singolarmente e, ancor peggio se sommati, interferiscono negativamente nella terapia dei tumori. E le prognosi diventano subito maggiormente sfavorevoli.

L’educazione alimentare si impone e, in Italia, la Lega italiana lotta al tumore (LILT) lo ha denunciato da tempo. Il presidente nazionale, prof. Francesco Schittulli, tra l’altro, ha proposto l’istituzione, a cominciare dalle elementari, di ore di lezione che riguardino il corretto rapporto con il cibo (disponibilità, di medici volontari, ad integrare il personale docente) e la sostituzione, nei dispenser, degli alimenti-spazzatura con frutta e verdure.

Le istituzioni pubbliche si impegnino a contrastare promozione e diffusione (“non indurre in tentazione”) di alimenti troppo grassi e troppo zuccherati (bevande, snack alle casse dei supermercati, eventuali tassazioni di questi alimenti e del tabacco).

L’esercizio fisico abituale è un formidabile anti-sopvrappeso/obesità ma, alle nostre elementari, gli scolari fanno 500 ore in meno di movimento rispetto ai tedeschi. Un terzo della popolazione globale non riesce a soddisfare le indicazioni delle maggiori organizzazioni internazionali che si occupano di salute pubblica, sui livelli di attività fisica consigliabili, con gravi conseguenze per la spesa sanitaria individuale e pubblica e per la salute, tanto che il 9% della mortalità prematura globale (circa 5,3 milioni di morti) è attribuibile alla sedentarietà. Per lo stesso motivo, trascorrere più tempo in attività come guardare la televisione rappresenta un comportamento associato in maniera indipendente a un aumento del rischio cardio-metabolico e dell’insulina resistenza. Al contrario, migliorare e mantenere i livelli raccomandati di attività fisica comporta benefici metabolici, emodinamici, di composizione corporea, epigenetici e dello stato funzionale che contribuiscono in maniera determinante a ridurre lo sviluppo dei fattori di rischio noti per molte delle malattie croniche non trasmissibili. Pertanto, l’attività fisica ha un significativo ruolo, in molti casi comparabile o superiore alla terapia farmacologica, nella prevenzione e gestione di oltre 40 malattie come l’obesità, il diabete mellito, il cancro, la depressione, l’Alzheimer, l’artrite e l’osteoporosi. L’obiettivo è di raggiungere e superare i 150 minuti a settimana di attività fisica.

LA PROSPETTIVA DELLA SCIENZA:

Un recentissimo comunicato dell’ “Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL)” ha reso nota una ricerca svizzera che ha individuato, nel tessuto adiposo la presenza (10%) di cellule battezzate ”Aregs” le quali sono capaci di bloccare la produzione di quelle altre cellule che si incaricano di mettere in deposito (stock) i grassi. Questa potrebbe diventare la chiave maestra per la lotta all’obesità ed al diabete tipo 2 (diabesità): meno adipociti, meno sovrappeso/obesità.

10 ottobre: “Obesity day”

| OPINIONI |