(di Girolamo Panetta, socio AIDR ed Area Manager CONSIS.A.r.l.)

L’irrazionalità individuale

Durante i periodi di grande crisi economica abbiamo assistito a fortissimi cambiamenti che in negativo ed in positivo hanno gettato una linea di discontinuità con il passato. Non serve ricordare come grandi fenomeni di riduzione della libertà dell’uomo a seguito della nascita delle dittature più feroci piuttosto che la grande rivoluzione keynesiana a supporto della new deal americana, ma tanti e tanti altri ancora, hanno segnato di fatto una modifica degli equilibri sociali e la modifica degli asset socio-economici fino ad allora esistenti; storici ed economisti di fama mondiale ne hanno delineato gli effetti sulla società contemporanea. Basta però arrivare ai giorni nostri, agli anni 2000 e trovare alcuni eventi che secondo me hanno ‘sconvolto’ gli equilibri economici a livello mondiale, sia per effetto delle leggi sottese al capitalismo e alla globalizzazione, ma anche per una serie di errori dei governi degli stati più importanti. Joseph E. Stiglitz, premio Nobel 2001 per l’economia, ha messo in evidenza le anomalie di un mercato, quello globale, che negli anni successivi a quelli delle grandi depressioni economiche, si pensava immune da instabilità e perfettamente in grado di gestire qualunque rischio finanziario. Nel suo trattato ‘Bancarotta’ [Einaudi] mette in evidenza come la politica sbagliata del governo americano e il comportamento senza scrupoli di molti individui, e di banche e società finanziarie, hanno determinato , nel 2008, la crisi del credito negli USA, che poi si è estesa a livello mondiale. Stiglitz prende in esame la crisi del settore immobiliare negli Stati Uniti, che unita alla propensione delle banche di emettere crediti per mutuo in maniera scriteriata ( i cosiddetti Subprime ) , ha provocato quella che è definita a livello mondiale una crisi economica senza precedenti, proprio per l’implicazione planetaria che ha comportato e i cui danni sono evidenti ancora oggi. Quello che a mio parere sconvolge è il fatto che, sempre secondo il premio Nobel, l’azione speculativa di alcuni è basata sullo sfruttamento delle azioni irrazionali degli individui; infatti gli operatori del mercato finanziario, ma è solo uno dei tanti casi, hanno capito che la maggior parte delle persone non leggono o non capiscono le clausole scritte nella modulistica, ad esempio, di adesione alle carte di credito, andando incontro a spese altissime e indesiderate. “ Ciò malgrado, pochissimi andranno a cercare una carta più vantaggiosa, in parte perché ritengono di essere imbrogliati alla stessa maniera, o forse peggio da qualche altra società “. Parlando del settore immobiliare molti invece non capiscono le spese e i costi di transazione e gli ‘addetti’ ai lavori sanno che le persone tenderanno a fidarsi degli intermediari immobiliari magari scoprendo raggiri e spese indesiderate dopo l’acquisto e dopo l’accensione del mutuo. Ecco questo esempio, che spiega queste irrazionalità sistemica che può dare origine a fluttuazioni macroeconomiche; “ l’esuberanza irrazionale porta a bolle speculative e periodi di boom mentre il pessimismo irrazionale è l’anticamera della crisi. Nei periodi di esuberanza irrazionale le persone sottovalutano i rischi vedi i casi in cui la persona contrae debiti nei confronti delle banche per soddisfare, in pieno ottimismo, i propri desideri “.

In un contesto simile Stiglitz mette in evidenza l’importanza del governo e delle istituzioni nel prevenire lo sfruttamento delle irrazionalità individuali ed aiutare le persone a prendere decisioni sempre migliori, decisioni che in un periodo di forte crisi possono essere determinanti per l’azione individuale e collettiva. Per uscire dalla crisi, gli economisti sottolineavano, che importante era l’azione di governo ma soprattutto le convinzioni personali atte a creare uno stato di aspettativa positiva rispetto alle azioni intraprese o da intraprendere.

L’imprenditore.

È chiaro che il discorso è molto più ampio e andrebbe approfondito andando a scomodare i principi della macro e della micro economia; la possibilità quindi di spiegare i fenomeni economici sulla base dei principi promulgati dalla scuola keynesiana ( sempre più lontana, secondo alcuni, per spiegare l’economia di adesso ) e da quelli che sentivano l’esigenza di un approccio unificato in quanto fautori di un neo-keynesianesimo più vicino alla interpretazione microeconomica; molti credono ad una riforma della scienza economica che vada appunto nella semplificazione di questa dicotomia. L’affermazione invece delle Federal Reserve che sperava che in tempo di crisi le convinzioni ottimistiche fossero contagiose, in quanto prodrome alla possibilità di spesa ed investimento, apre un tema sul quale vorrei addirittura scomodare il pensiero di due  grandi sociologi ed economisti come Max Weber ( Erfurt, 21 aprile 1864 – Monaco di Baviera, 14 giugno 1920 ) e Joseph Shumpeter (Třešť, 8 febbraio 1883 – Taconic, 8 gennaio 1950), soprattutto sul secondo, le cui teorie erano state per qualche ragione escluse dalla dottrina dominante. La teoria economica tradizionale, il modello neoclassico, ha avuto poco a che fare con il tema relativo alla innovazione, cosi come non tenevano conto dell’importanza dell’informazione e quando invece alcuni economisti si sono accorti che l’innovazione è la strada per contrarre la crisi si sono dedicati all’elaborazione appunto delle teorie di Shumpeter. L’idea di fondo di questo economista muove il passo all’interno della corrente dell’individualimo metodologico che soprattutto dal punto di vista meramente economico afferma che gli individui, interagendo spinti da motivazioni di utilità personali, creano senza intenzione le istituzioni sociali. Lo stesso Weber, uno dei padri della sociologia, pone alla base di ogni fenomeno sociale l’azione individuale dotata di senso, l’azione sociale e la relazione sociale.

In concetto di innovazione è chiaro in Shumpeter, la cui teoria si è basata molto sul concetto di competizione per l’innovazione; ogni mercato è dominato da un monopolista che può essere scalzato in qualsiasi momento da un altro monopolista, più bravo a sfruttare situazioni di mercato e attraverso l’innovazione. Quale concetto può spiegare meglio quelle che sono state le dinamiche di mercato competitivo nell’informatica, in cui operano colossi come Microsoft, Apple, ecc. Per non parlare del mondo della telefonia e della comunicazione in generale, dell’automobile e di tanto altro. Questo concetto, quasi banale nella sua espressione concreta, trova un valido supporto nell’idea che Shumpeter aveva dell’imprenditore, di colui che investe del denaro per qualificare anche la sua supremazia e che secondo me è perfettamente aderente al concetto di economia che si sta facendo largo sempre di più in un mondo governato dalla conoscenza, dalla digitalizzazione e dalla frammentazione di aspettative e ruoli sociali, dalla creazione di figure sempre nuove nel mondo del lavoro e dove è sempre presente un certo conflitto sociale. Lo scenario entro cui ci muoviamo è sicuramente un sistema complesso, proprio come quello che spiega questo autore, ed è formato da elementi del tutto collegati tra di loro; per riuscire ad emergere in questo mondo estremamente complicato l’imprenditore, secondo Shumpeter deve essere visionario perché vede ciò che altri non vedono, deve essere creativo e rivoluzionario perché deve creare ciò che non esiste, deve essere un leader. La sua funzione imprenditoriale è legata alla possibilità di creare innovazione.

La forza di queste parole sta nella loro mancanza di storia e nella loro attualità; se il concetto classico di spiegazione economica intravvede solo nella capacità dello Stato di creare illusioni e aspettative in questo concetto trova la morte. Qui intravvedo il coraggio di tutte quelle persone che devono reinventare la propria vita a seguito dell’ormai spregiudicata dinamicità del mondo del lavoro; coraggio che si esplica nelle forme ormai più conosciute: investimento personale nelle start up tecnologiche, ambientali , nella green economy ecc. Ma anche nella rivalutazione di certe professioni per tanto tempo lasciate al passo, parlo soprattutto degli impieghi nell’artigianato. Tutto questo crea rete, conoscenza, struttura e macrostruttura; se poi lo Stato ritorna ad essere garante di questa esuberanza irrazionale ritorneremo a vivere periodi più floridi.

Quando il classico parla moderno – Joseph Shumpeter