Occorreva riaccendere il faro in maniera forte per attirare l’attenzione, una semplice batteria di missili lanciata da un camioncino verso una delle basi americane dislocate in Iraq. Una base dove è facile non commettere errori, ovvero dove non si fanno danni irreversibili. Dopo un anno dall’ultimo attacco, lunedì scorso l’Iran ha lanciato diversi missili sull’aeroporto militare di Erbil, uccidendo un contractor e ferendo 8 militari Usa. Un modo per dire agli Usa e soprattutto al neo eletto presidente Biden, noi ci siamo e siamo pronti ad ogni evenienza per difendere l’Iran. In ballo c’è il dossier del Trattato sul nucleare firmato nel 2015 e non confermato da Trump. Il punto nodale è proprio questo, occorre decidere e farlo in fretta perchè la popolazione a Teheran e allo stremo, soffre per le sanzioni applicate dalla dall’ex capo della Casa Bianca. Rientrare nel Trattato sul nucleare potrebbe allentare la morsa delle sanzioni liberando così l’economia iraniana che alla pari di quelle mondiali sta soffrendo in aggiunta anche per l’emergenza sanitaria da Covid-19.

Teheran ha accolto con soddisfazione le prime aperture del presidente Joe Biden, soprattutto con la nomina di Robert Malley a inviato speciale, ma non ha gradito la successiva richiesta di Washington di fermare immediatamente l’arricchimento dell’uranio e il successivo sequestro di una petroliera che aveva scaricato prodotti raffinati in Venezuela. Altra questione sono i fondi iraniani bloccati all’estero che Teheran vuole far rientrare per l’acquisto di prodotti sanitari contro il coronavirus.

Occorreva, quindi, farsi sentire e l’unico modo diretto è stato quello di colpire gli interessi americani e attivare le milizie filo iraniane sparse nel mondo. Prima nello Yemen, con una serie di attacchi con missili e droni condotti dagli Houthi che hanno colpito anche l’aeroporto saudita di Abha e danneggiato un aereo civile. E poi l’attacco alla base di Erbil.

Il segretario di Stato Anthony Blinken, anche se favorevole al dialogo e al ritorno dell’intesa sul nucleare, si è detto indignato. Le vittime potevano essere molte di più e potevano essere coinvolti anche i contingenti alleati, a partire dagli italiani presenti a Erbil.

Nel frattempo il 22 febbraio prossimo potrebbe aumentare la produzione di uranio allo stato metallico (bloccata da una mozione in parlamento). L’intelligence francese ha lanciato l’allarme: “l’Iran è più vicino alla bomba adesso che nel 2015“, mentre l’Intelligence israeliana sostiene che occorrono ancora due anni. In Iraq nel frattempo stanno prendendo piede anche le milizie filo turche che al nord sono alla ricerca dei guerriglieri del Pkk, mentre l’esercito di Ankara penetra sempre più in profondità nel territorio del Kurdistan iracheno, minacciando incursioni anche nel Sinjar, rifugio degli Yazidi, dove hanno base alcuni unità del Pkk.

LA BUONA NOTIZIA

Gli USA hanno accettato di sedersi al tavolo con l’Iran su invito dell’Ue. Biden ha anche dato mandato al suo rappresentate presso l’Onu di procedere con le attività per l’allentamento delle sanzioni a Teheran.

Colpita dai missili di Teheran la base Usa di Erbil in Iraq

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