Contro l’assalto straniero, Copasir, Presidente On. Volpi: “Interessi bancari e assicurativi restino in Italia”

Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica – Copasir – nell’ambito del ciclo delle audizioni sul sistema bancario assicurativo ha ascoltato l’AISE, Banca D’Italia, Ivass, Ubi Banca, Mediobanca, Cassa Depositi e Prestiti. E’ prevista per giovedì l’audizione di Unicredit.
Nel contorno delle competenze del Copasir afferenti la sicurezza e l’interesse nazionale si sta progressivamente formando una sensibile e consapevole preoccupazione relative a dinamiche che potrebbero in futuro intercettare l’interesse condiviso del Paese.
Recenti notizie, in parte in qualche modo prevedibili, accentuano le preoccupazioni già espresse dal Comitato in merito al possibile controllo fuori dai confini nazionali di primari istituti bancari ed assicurativi già riconosciuti per altro tra i maggiori detentori di debito sovrano italiano.
Essendo le notizie pubbliche ed acclarate e facendo memoria della recente implementazione della legislazione in merito alla difesa degli assetti strategici del Paese pensiamo possa esservi una autonoma attivazione degli organismi preposti finalizzata ad assicurare che i predetti istituti rimangano all’interno di un sistema di controllo e direzione italiano. Riteniamo che, oggi in particolare, il “Sistema Paese”abbia la necessità di non vedersi depauperato di capisaldi strategici in favore di attori che proseguono interessi diversi da quelli nazionali.

Su Investireoggi.it, Giuseppe Timpone ha spiegato in maniera davvero esaustiva  la questione del nostro debito pubblico.

Il debito pubblico italiano aveva chiuso il 2019 a 2.409 miliardi di euro, in crescita dell’1,2% su base annua. Adesso, le cifre che si rincorrono di giorno in giro sulle previsioni per fine anno danno lo stock in esplosione a ridosso dei 2.600 miliardi. Il deficit dovrebbe salire a doppia cifra, causa crollo del pil per l’emergenza Coronavirus. Restando ai dati di dicembre, sappiamo che la quota maggiore la posseggono le banche italiane con il 26,5%, seguite dal poco più del 19% di assicurazioni e altri istituzionali domestici. Completa il podio la somma delle detenzioni tra Banca d’Italia e BCE, al 19,5%. In quest’ultimo caso, parliamo dei BTp acquistati sul mercato secondario all’interno del “quantitative easing”. Famiglie e imprese italiane, invece, si fermano al 5,8%. A inizio anni Novanta, detenevano la quasi totalità dei BTp emessi dal Tesoro.

Resta quel 28,8% in mani straniere, di cui bisogna tenere conto della quota investita dagli stessi italiani in società di risparmio gestito con sede in Irlanda e Lussemburgo, al netto della quale ci si fermerebbe sui 500 miliardi, poco più del 20%. Ecco, questa è la quota effettiva investita all’estero sul nostro debito. Nel 2010, prima che esplodesse la crisi dello spread, si attestava sopra il 50%. E cosa ancora più interessante, gli investitori stranieri continuano a vendere e i dati di Bankitalia a maggio con riferimento allo stock di fine marzo ci segnaleranno qualcosa di più interessante sulle variazioni avvenute nei primi mesi di quest’anno riguardo alla nazionalità dei creditori.

E se andiamo ad approfondire la composizione degli investitori stranieri interessati al nostro debito, scopriamo che una porzione rilevante è rappresentata dai cosiddetti “hedge fund”, ossia i fondi speculativi, con un orizzonte temporale per i loro investimenti generalmente breve e che sfruttano i movimenti dei prezzi.

Ecco spiegata l’elevata volatilità dei BTp rispetto ai bond sovrani nel resto dell’Eurozona. Non appena i prezzi salgono in misura consistente, questi fondi si liberano dei nostri titoli di stato, facendone risalire i rendimenti; viceversa, quando i prezzi toccano punti molto bassi. Il loro obiettivo non è quasi mai tenerli in portafoglio fino alla scadenza, un po’ come accade con i bond “spazzatura” emessi da stati emergenti, banche e società dalla bassa affidabilità creditizia.

Se tutto questo è vero, diventa difficile immaginare che da soli saremmo in grado di emettere debito quest’anno per oltre 500 miliardi, di cui fino a oltre 180 miliardi netti. Se dall’estero fuggono, questo nuovo indebitamento dovrà essere sostenuto da banche, assicurazioni e risparmiatori italiani. Eppure, le prime sembrano aver fatto la loro parte fin troppo negli ultimi anni, tanto che la Vigilanza della BCE non vede di buon occhio le loro esposizioni “eccessive” verso il bilancio statale e dal suo interno si levano voci critiche al riguardo, con tedeschi, olandesi e finlandesi, in particolare, a reclamare regole più restrittive sulle detenzioni.

Le stesse famiglie non sembrano volerne sentire, se è vero che ad oggi preferiscano tenere in banca oltre 1.500 miliardi di euro depositati su conti infruttiferi, anziché prestarli allo stato percependo un minimo rendimento, vuoi per il fabbisogno di liquidità a breve temuto (segno di pessimismo sul futuro), vuoi per la carente fiducia verso lo stato. Ma se nessuno vuole comprare, a parte la BCE auto-vincolatasi a farlo, questa enorme quantità di BTp da emettere a chi andrà? Il rischio che per attirare domanda il Tesoro debba pretendere prezzi sempre più bassi, cioè offrire rendimenti crescenti, è più che concreto. Sarebbe insostenibile per le casse statali. Non possiamo permetterci di gravare i conti pubblici con una ulteriore voce di spesa, peraltro improduttiva.

Per questo, negli ultimi due anni si sono studiate varie formule, dai Conti individuali di risparmio ai BTp “irredimibili” e quelli legati alla performance dell’economia italiana. Prima ancora, l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, aveva lanciato i BTp Italia, i quali debuttarono sotto il governo Monti, un bond retail finalizzato ad attirare nuova domanda dalle famiglie. Non è bastato, ragione per cui siamo davvero alla frutta anche in termini di fantasia. Puoi esentare fiscalmente i nuovi strumenti finanziari ipotizzati, puoi modificarne alcune caratteristiche per renderli quanto più appetibili possibile, puoi anche inventarti un nome allettante, ma se i capitali non arrivano, cosa fai?

Investimento coattivo in BTp

Sarà un caso, ma in queste settimane in cui emerge con sempre maggiore nitidezza l’entità della crisi fiscale in corso, si inizia a parlare di prestito forzoso, una patrimoniale che non comporterebbe alcun esproprio esplicito, quanto l’imposizione di un investimento coattivo in BTp e, chiaramente, fruttifero. Il piano non viene presentato in queste vesti, anzi si precisa la natura “volontaria” del prestito in risposta a un appello esplicito dello stato, ma non si capisce perché mai il risparmiatore italiano dovrebbe rispondervi, quando sinora ha preferito restare alla larga dal debito, anche a fronte di rendimenti relativamente elevati. Potrà il solo spirito patrio fare tanto, un po’ quando in massa le famiglie italiane consegnarono l’oro al Duce per finanziare la guerra?

Per tante ragioni, la patrimoniale di cui abbiamo discusso nei giorni scorsi si mostra impraticabile e indesiderata sul piano politico. Meglio sarebbe mascherarla con un investimento in BTp inizialmente solo sollecitato e nel caso di risposte sufficienti, imposto con la forza. Si direbbe agli italiani che starebbero attingendo ai capitali “dormienti” dei più ricchi per metterli al servizio della collettività, ma si tratterebbe comunque di un esproprio, per quanto limitato nel tempo e fruttifero.

L’unica alternativa sarebbe ricorrere al Fondo salva-stati, sottoponendosi a un umiliante commissariamento europeo, con conseguenze sul piano politico imprevedibili. I soldi per finanziare l’enorme “buco” di bilancio dovranno arrivare dall’Italia stessa, peraltro in una fase di forte contrazione del pil, in cui difficilmente il livello complessivo dei risparmi potrà aumentare e coprire volontariamente il fabbisogno statale.

Contro l’assalto straniero, Copasir, Presidente On. Volpi: “Interessi bancari e assicurativi restino in Italia”