La politica coloniale francese “sottobanco” in Africa. 14 le ex colonie che pagano ancora la “gabella”

(di Massimiliano D’elia) Una domanda che ci siamo fatti tantissime volte. Come mai l’Africa, notoriamente ricco di risorse naturali non riesca a far crescere la propria economia?  Un continente che ha visto il maggior numero di colpi di stato al mondo. Ma chi arma e addestra le milizie per favorire tali colpi di Stato? Il continente africano, ricco di risorse naturali e con la popolazione più giovane al mondo perché non riesce proprio ad emergere?

Il continente africano sembra essere chiuso in se stesso, sembra essere bloccato da qualcosa di più grande che fa paura, che porta la morte. Senza via d’uscita l’unica strada per la popolazione, oramai stremata, è quella di scappare, anche rischiando la vita nelle difficili traversate via mare.

Troppe le contraddizioni che apparentemente non hanno una risposta. Forse, però, una delle risposte, quella più scabrosa, potrebbe essere proprio la continua politica coloniale “sottobanco” dei cugini francesi.

Al riguardo è molto interessante quanto ha riportato la BBC lo scorso anno sulla vicenda di un attivista del Benin, Kemi Seba, arrestato con l’accusa di aver bruciato una banconota del valore di 5000 CFA . E’ stato poi assolto da un tribunale della capitale senegalese. L’arresto è avvenuto a seguito di una denuncia della Banca centrale degli Stati dell’Africa occidentale (BCEAO), poiché la banconota bruciata ritenuta una sua proprietà.

Il CFA è una valuta dell’era coloniale che è ancora utilizzata in diverse ex colonie francesi in Africa.

Kemi Seba

Seba è uno dei tanti attivisti che chiedono l’abbandono della CFA, perchè considerata una reliquia del colonialismo francese.

Durante una dimostrazione, quindi Kemi Seba, il cui vero nome è Stellio Gilles Robert Capochichi, in una simbolica protesta pubblica contro il CFA, ha bruciato una banconota da 5.000 CFA.

Il CFA è utilizzato in 12 paesi africani francofoni, nonché in Guinea Bissau e Guinea equatoriale.

Il BCEAO, che stampa le banconote per l’Africa occidentale, ha contestato la distruzione pubblica di ciò che considerava una sua proprietà.

Seba è stato assolto per un problema tecnico. Il codice penale del Senegal punisce la distruzione delle banconote piuttosto che quella di una singola banconota.

Seba fa parte di uno dei tantissimi movimenti in continua crescita contro l’utilizzo del CFA.

Cos’è il CFA?

Il franco CFA è stato creato dalla Francia alla fine degli anni ’40 come moneta a corso legale nelle sue colonie allora africane, ed è uno dei segni più importanti della continua influenza della Francia sulle sue ex colonie.

Il franco CFA è ancorato all’euro con il sostegno finanziario del tesoro francese.

Mentre alcuni la considerano una garanzia di stabilità finanziaria, altri la attaccano come una reliquia coloniale.

Quali sono gli argomenti a favore e contro la valuta?

I fautori sostengono che protegge i 14 paesi che la usano dall’inflazione e dall’incertezza, indicando la vicina Guinea come un esempio di ciò che potrebbe accadere se il CFA fosse abbandonato.

La Guinea è un’ex colonia francese in Africa che ha una propria valuta. Ma regolarmente affronta le carenze di valuta con il ricorso alla banca centrale per garantire la sua stabilità.

Tuttavia, i critici, come quelli che guidano il movimento anti-CFA, affermano che lo sviluppo economico vero per i 14 paesi africani può essere raggiunto solo se si liberano della valuta.

Sostengono che in cambio delle garanzie fornite dal tesoro francese, i paesi africani incanalano più denaro in Francia di quanto ricevono in aiuti.

Sostengono inoltre che non hanno voce in capitolo nel decidere le politiche monetarie accettate dai paesi europei dell’Eurozona.

Perché le persone non sono contente del CFA?

Seba sarebbe stato al corrente di un programma perverso del franco CFA quando si presentò alla manifestazione ed  incenerì la banconota.

Tuttavia, per la maggior parte dei giovani che hanno partecipato alla protesta, il suo atto è stato un legittimo segno di sfida contro una valuta che considerano un simbolo del dominio economico e finanziario della Francia e dei paesi stranieri che la condividono.

Un giovane manifestante ha detto ai media locali, l’atto di bruciare la nota è stato come quando Nelson Mandela, il leader anti-apartheid, ha bruciato il suo passbook in segno di protesta contro le leggi dell’apartheid.

Ma la rabbia non è solo diretta alla Francia, ma anche verso i leader africani che gli attivisti accusano di essere complici con la Francia.

La maggior parte dei movimenti giovanili a favore della democrazia nell’Africa occidentale, come Y’en a Mare in Senegal e le Balai Citiyen in Burkina Faso, hanno posto la questione della CFA come elemento chiave nelle loro campagne.

Questi movimenti credono che la fine della CFA porrà fine alla forte influenza della Francia sulle economie dei loro paesi.

Cosa risponde  la Francia?

I funzionari in Francia non hanno commentato sul movimento anti-CFA, probabilmente perché ogni risposta servirebbe solo ad incentivare ulteriormente gli attivisti.

La Francia è in una posizione delicata. Qualunque cosa provenga da Parigi in difesa del CFA potrebbe essere considerata una prova dell’interesse della Francia nel mantenere la valuta dell’era coloniale.

Ad ogni modo, nessun presidente francese prima di Emmanuel Macron aveva mai espresso la volontà di lasciar andare il CFA.

Tuttavia Macron durante la campagna elettorale presidenziale aveva detto che la decisione di allontanarsi dalla valuta può essere  presa solo dai paesi africani, senza specificare il modo però.

Nessun leader africano dei 14 paesi interessati dalla questione ha risposto pubblicamente al commento del collega Macron.

Mentre approfondivo la questione mi sono imbattuto in un interessantissimo editoriale pubblicato da Italiaoggi che affronta la questione della valuta CFA, dopo aver ascoltato Mohamed Konare, un’attivista panafricano.

Konare ha promosso a  metà settembre a Roma una manifestazione politica piuttosto singolare. A scendere in piazza  solo giovani africani, emigrati da tempo in Italia e in altri paesi europei, che di fronte  all’ambasciata francese, in piazza Farnese, hanno contestato  la politica africana della Francia di Emmanuel Macron. L’obiettivo, come lui stesso afferma in una lunga intervista sul web (Byoblu), è di spiegare agli europei i metodi di tipo coloniale con i quali la Francia continua a comandare e depredare in Africa ben 14 Stati, un tempo sue colonie, diventate indipendenti negli anni 60, ma soltanto sulla carta.

Il gioco francese su questi Paesi, sostiene Konare, è soprattutto economico e monetario, ed è congegnato in modo tale da garantire a Parigi un ferreo controllo della loro moneta, oltre a un monopolio esclusivo sulle ricche materie di cui abbondano (oro, uranio, petrolio, gas, cacao, caffè), con un risultato duplice: arricchire la Francia e le sue élites imprenditoriali da un lato, con uno smisurato trasferimento di ricchezza (circa 500 miliardi di dollari l’anno, secondo alcune stime); dall’altro lato  impoverire fino alla miseria i popoli indigeni, che sono così costretti a fuggire per fame verso l’Italia e l’Europa.

Il perno attorno al quale ruota l’intero sistema del controllo francese sui 14 Paesi africani è il franco coloniale, detto franco Cfa, moneta che la Francia impose alle sue colonie nel 1945, subito dopo l’accordo di Bretton Woods, che regolò il sistema monetario dopo la Seconda guerra mondiale. In origine l’acronimo Cfa stava per «Colonie francesi d’Africa», ma negli anni Sessanta, a seguito del riconoscimento dell’indipendenza delle colonie francesi deciso da Charles De Gaulle, il suo significato è cambiato: «Comunità finanziaria africana».

Un riconoscimento puramente formale della fine del regime coloniale, in quanto il franco Cfa ha conservato tutti i vincoli che aveva fin dall’inizio sulle economie locali. Stiamo parlando di 14 Stati dell’area subsahariana e del Centro Africa, con una popolazione di circa 160 milioni di unità, per i quali la moneta ufficiale è il franco Cfa, coniata e stampata in Francia, paese che ne ha stabilito tutte le caratteristiche e ne detiene il monopolio. Ecco il loro elenco: Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo.

Il primo vincolo del franco Cfa consiste nell’obbligo per i 14 Paesi che ne fanno uso di depositare il 50% delle loro riserve monetarie presso il Tesoro francese. In pratica, quando uno dei 14 Paesi del franco Cfa esporta verso un paese diverso dalla Francia, e incassa dollari o euro, ha l’obbligo di trasferire il 50% di questo incasso presso la Banca di Francia. In origine la quota da trasferire in Francia era pari al 100% dell’incasso, poi è scesa al 65% (riforma del 1973, dopo la fine delle colonie), infine al 50% dal 2005. Così, per esempio, se il Camerun, previo un esplicito permesso francese, esporta vestiti confezionati verso gli Stati Uniti per un valore di 50mila dollari, deve trasferirne 25 mila alla Banca centrale francese. Un sistema al quale non sfugge neppure un soldo, in quanto gli accordi monetari sul franco Cfa prevedono che vi siano rappresentati dello Stato francese, con diritto di veto, sia nei consigli d’amministrazione che in quelli di sorveglianza delle istituzioni finanziarie delle 14 ex colonie.

Grazie a questo trasferimento di ricchezza monetaria, la Francia gestisce a suo piacimento il 50% delle valute estere delle 14 ex colonie, investendoli massicciamente in titoli di Stato emessi dal proprio Tesoro, grazie ai quali ha potuto finanziare per decenni una spesa pubblica generosa, sovente ignara dei vincoli di Maastricht. E Konare, nell’intervista sul web, ricorda che quando Angela Merkel ha chiesto ai vari governi francesi di depositare il 50% delle riserve delle 14 ex colonie presso la Bce, invece che presso la Banca centrale francese, la risposta è sempre stata un secco no.

Tra i numerosi vincoli imposti dagli accordi sul franco Cfa, vi è anche il «primo diritto» per la Francia di comprare qualsiasi risorsa naturale scoperta nelle sue ex colonie. Da qui il controllo di Parigi su materie prime di enorme valore strategico: uranio, oro, petrolio, gas, caffè, cacao. Soltanto dopo un esplicito «non interesse francese», scatta il permesso di cercare un altro compratore. Ma attenzione: i maggiori asset economici di tutte le 14 ex colonie sono in mano a francesi che si sono insediati da tempo in Africa, diventando miliardari a palate (su tutti, Vincent Bolloré e Martin Bouygues). Tanto che Konare trova giusto dire che «gli africani vivono in Paesi di proprietà dei francesi. Mentre agli africani, la Francia di Macron lascia solo le briciole. E spesso neppure quelle: soltanto miseria».

Da questa povertà diffusa, sostiene l’attivista panafricano, hanno origine le ondate migratorie verso l’Europa. «Un viaggio che sono il primo a sconsigliare», dice Konare. «L’Italia non ha lavoro a sufficienza per i suoi giovani, non è pensabile che lo trovi per quelli africani. I giovani africani devono impegnarsi di più nei loro Paesi per chiedere la fine del colonialismo e delle ruberie francesi, e costruire gli Stati Uniti d’Africa, una federazione di Stati indipendenti e sovrani. Un’utopia che può diventare realtà».

Molto interessante da leggere
http://www.africanews.it/14-paesi-africani-costretti-a-pagare-tassa-coloniale-francese/

 

 

 

 

La politica coloniale francese “sottobanco” in Africa. 14 le ex colonie che pagano ancora la “gabella”