Ogni crisi ha bisogno del diritto internazionale, compresa quella israelo-palestinese

(di Giuseppe Paccione) Non condivido l’opinione di Wesam Ahmad, opinionista dell’emittente televisiva Al-Jazeera, che, nella sua intervista rilasciata a un quotidiano italiano, asserisce che “dietro il diritto internazionale c’è la volontà dell’Occidente” e che, pertanto, sia considerato solo una mera maschera. Ricordo che ciascuna societas possiede una gamma di regole che servono per disciplinare le relazioni fra individui che ne fanno parte. Persino Aristotele, nella sua opera sulla Politica, volle decifrare che l’uomo è per indole destinato a vivere nella comunità umana, costituita per il raggiungimento di un qualche bene.

Non è da meno San Tommaso D’Aquino che nella sua famosa opera Summa Theologiae asserisce che “nihil est aliud quam quaedam rationis ordinatio ad bonum commune” (il diritto non è altro che un ordinamento di ragione mirato al bene comune). In ultimo, come non ricordare che ubi societas, ibi ius, nel senso che il diritto prima di essere norma è un’organizzazione. Ergo, il diritto internazionale non solo può essere considerato il diritto comune dell’intera famiglia umana e il propulsore della vita sociale internazionale, ma anche l’ordinamento giuridico della società internazionale caratterizzato da norme giuridiche che sono meccanismi utili per regolare la convivenza della comunità internazionale con la responsabile autorità di governo di ogni Stato.

Per quanto riguarda il paragone fatto da Wesam sul fatto che il diritto internazionale sia stato utilizzato a favore dell’Ucraina e non anche sulla crisi mediorientale, non sono affatto d’accordo. Mi spiego meglio. Nella crisi russo-ucraina è ben evidente la condotta della Russia che dalla minaccia è passata ad aggredire manu militari l’Ucraina, violando il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite che obbligano gli Stati ad astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato. Su questo punto l’intera comunità internazionale ha spesso invitato Putin al rispetto del diritto internazionale; persino la Cina, che ha ottimi rapporti con la Russia, sottolineava l’importanza del rispetto del principio di non ingerenza negli affari interni di uno Stato.

Nel caso della recente crisi israelo-palestinese, va precisato, in primis, che Israele non sta combattendo contro il popolo palestinese, ma contro il gruppo di Ḥamās(حركة المقاومة الاسلامية), il Movimento islamico di resistenza, considerato dalla comunità internazionale un attore non statale, ma di matrice terroristica. Il braccio di ferro è tra Hamas e Israele e che la popolazione palestinese, succube purtroppo di questo gruppo terroristico, non c’entra nulla. Circa l’occupazione di Israele va precisato che è vero che la Striscia di Gaza, parte integrante del territorio palestinese, è sotto occupazione, ma va precisato che dal 2005 l’esercito israeliano si è ritirato.

Quando qualcuno considera il diritto internazionale a favore dell’uno e a danno dell’altro, lo reputo una cosa davvero incettabile. Mi spiego. Il diritto internazionale, in primis quello umanitario, ha considerato l’azione deplorevole di Hamas come atto illegittimo contro Israele, come ad esempio, quello di aver rotto il blocco terrestre della Striscia di Gaza massacrando dei civili inermi, il lancio di attacchi indiscriminati con razzi verso il territorio israeliano, gli attacchi diretti ai civili oppure gli attacchi al solo scopo di seminare terrore, violenze sessuali, le torture sui civili e, in ultimo, la presa degli ostaggi; tutti vietati dal diritto internazionale, cioè dal I Protocollo addizionale delle IV Convenzioni di Ginevra. Queste violazioni danno luogo alla responsabilità di Hamas sebbene la sua azione è del tutto illegale e che, tutti i componenti, sono responsabili per crimini di guerra e contro l’umanità. Quindi, il diritto internazionale non ammette o legittima quanto è stato compiuto da questa organizzazione di matrice terroristica avverso i cittadini dello Stato d’Israele.

Ciononostante, lo stesso diritto internazionale non fa sconti a Israele che ha violato le norme del diritto internazionale dei conflitti armati, quando, dopo l’aggressione violenta di Hamas, decideva l’assedio completo della Striscia di Gaza mediante la politica di bloccare l’entrata di derrate alimentari, cioè portare alla fame dei civili, come metodo di guerra che viene inibito guarda caso proprio dal famoso diritto internazionale umanitario che vieta espressamente di attaccare beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile come cibo, acqua et alias, costituente un crimine di guerra. Difatti, nello Statuto della Corte Penale Internazionale, viene fatto rientrare nella sfera dei crimini di guerra anche l’affamare intenzionalmente, come metodo bellico, i civili privandoli dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza, compreso il fatto di impedire volontariamente l’invio dei soccorsi previsti dalle Convenzioni di Ginevra. Altro aspetto consiste nel fatto che Israele non può sottoporre l’intero popolo della Striscia di Gaza alla punizione collettiva per un atto commesso solo dal gruppo terroristico di Hamas, come viene sancito nei Regolamenti dell’Aja del 1907 e della IV Convenzione di Ginevra del 1949. Ciò vale anche alle perdite di vite umane e a strutture civili cagionate dai massicci bombardamenti delle autorità israeliane. Tel Aviv deve attenersi ai criteri di precauzione, distinzione e proporzionalità in ogni operazione di tipo militare nella Striscia di Gaza, la cui violazione può portare ad accollarsi la responsabilità individuale per crimini di guerra.

Si può infine riscontrare che il diritto internazionale, strutturato per tenere cernierato una serie di divieti considerati capisaldi della famiglia umana, non è lo strumento con due pesi e due misure, ma costituisce la valvola di garanzia per evitare che future generazioni finiscano nel flagello di un nuovo conflitto mondiale.

Il diritto internazionale, per chiudere questo mio breve intervento, è super partes con il solo compito di regolare la vita e i rapporti che intercorrono nella società internazionale, composta essenzialmente da Stati, considerati soggetti proprio dell’ordinamento giuridico internazionale. 

 

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