Al di là del progresso di facciata, la situazione in Libia non è mai stata così torbida

(di Op-Ed di Talal Oheda) La Libia sembra fare molti progressi verso la stabilità, ma se analizziamo la situazione sul campo, al di là degli slogan politici, ci rendiamo conto che la situazione non è mai stata così cupa. È chiaro a tutti che gli attuali attori istituzionali stanno attivamente ostacolando il processo elettorale, dopo oltre un anno dalla data di rinvio delle elezioni nazionali e quasi otto dalla firma dell’Accordo politico libico (LPA). L’ulteriore prolungamento del periodo di transizione renderà la Libia ancora più vulnerabile a questioni politiche ed economiche, di instabilità e sicurezza. Il capo del governo di unità nazionale (GNU), Abdel Hamid Al-Dabaiba, dopo aver perso consensi sul campo per gli accordi raggiunti a livello internazionale, non ultimo la consegna di Abu Ajila Al-Marimi agli Stati Uniti per il suo sospetto coinvolgimento nel caso Lockerbie, dopo aver rinnegato le sue promesse di non candidarsi alle elezioni, ha finanziato innumerevoli gruppi armati nella Libia occidentale con l’unico scopo di rimanere al potere.

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La forza di deterrenza speciale (RADA) e l’apparato di supporto alla stabilità (SSA) hanno notevolmente aumentato il loro potere, mentre la situazione a ovest di Tripoli rimane totalmente fuori dal controllo statale.
I combattimenti tra gruppi armati a Zawiya, il 5 febbraio scorso, hanno intrappolato decine di famiglie per diverse ore, con almeno due civili uccisi. Scontri intermittenti sono stati segnalati dal 25 settembre quando altri tre civili sono stati uccisi tra cui una bambina di 10 anni.

La raffineria di Zawiya e il complesso di Mellitah continuano le frequenti interruzioni della produzione alimentando le proteste della popolazione. Per non parlare della tratta di esseri umani, una piaga che affligge le nostre città occidentali da Sabrata a Garabulli. Questo perché le attuali amministrazioni non sono riuscite a raggiungere una vera riconciliazione tra le fazioni eterogenee, anzi, i fondi realizzati a disposizione di alcuni gruppi armati hanno alimentato la violenza. Tutto questo è avvenuto mentre diversi capi di Stato e di governo si sono recati a Tripoli per firmare memorandum da molti considerati illegali.

Ricca di risorse petrolifere, la Libia è ancora oggi divisa tra due amministrazioni parallele. Da un lato, il
Governo di Unità Nazionale (GNU) con sede a Tripoli guidato da Abdel Hamid Al-Dabaiba, dall’altro, il
governo riconosciuto dal parlamento, la Camera dei Rappresentanti (HoR), guidata da Fathi Bashagha, che non è stato ricevuto da funzionari statunitensi, britannici o tedeschi durante le loro recenti visite.

Il clima di instabilità nella regione occidentale avvantaggia molti player libici. Soprattutto Misurata, la
città natale dei due primi ministri, che teme un’ascesa di Zawiya. Inoltre, Dabaiba preferisce
mantenere il caos attuale per due motivi. Una situazione di sicurezza precaria è un buon pretesto per non favorire libere elezioni politiche, in secondo luogo, la frammentazione dei gruppi armati occidentali consente al premier di mantenere il potere affidandosi alle milizie di Tripoli e Misurata alle quali paga miliardi di dinari. Non importa se tutto questo ostacola gli sforzi del Comitato militare congiunto (JMC 5 + 5) verso l’unificazione delle forze armate. Il fatto che Dabaiba faccia leva sul caos attuale è dimostrato dal fatto che lui ha impedito a Sheban Hadiya (alias Abu Obeida al-Zawi), figura chiave di gruppi armati e rivoluzionari in Zawiya, di ritornare nella sua città.
Crescenti pressioni sociali, compresi i sit-in del settore dei trasporti e della sanità oltre alle manifestazioni di lavoratori petroliferi a Jalu e Zuwara, mostrano l’incapacità delle attuali amministrazioni di trovare soluzioni durature a favore dei cittadini, per non parlare di un possibile ritorno degli islamisti radicali in politica.

Lo scorso aprile, Abdulhakim Belhaj, ex combattente islamista, è tornato in Libia dopo anni di esilio autoimposto in Qatar. Belhaj è arrivato a Tripoli ed è stato accolto da una schiera di convogli militari che lo hanno accompagnato scortandolo a casa. Allo stesso tempo, il suo amico, il religioso Ali Sallabi, ha organizzato un forum ad Istanbul il 4 gennaio nel tentativo di ottenere una nuova legittimazione politica attraverso alleanze inaspettate.
Il 28 gennaio, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha avuto colloqui in Libia con funzionari libici
Governo di unità nazionale (GNU), incentrato su energia e migrazione, temi centrali per l’Unione Europea.

La visita segue quella del capo della CIA William Burns a Tripoli e Bengasi a metà gennaio, seguita subito dopo dal capo del MIT, Hakan Fidan, capo dell’intelligence turca. Gli attori stranieri dovrebbero smetterla di legittimare organi politici non eletti e scaduti in Libia. La situazione richiede una rilegittimazione statale data dal consenso del popolo. Il popolo libico chiede istituzioni legittime in grado di provvedere ai loro bisogni primari. Gli organi politici devono essere istituiti sulla base di un’autentica volontà popolare. In questo processo, la condotta di lelezioni legislative e presidenziali sono fondamentali e vi è un urgente bisogno di finalizzare la costituzione base per consentire a tutti i partiti, che ritengono di rappresentare il popolo libico, di candidarsi alla presidenza e alle elezioni parlamentari.

Op-Ed di Talal Oheda

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