Durante i mesi del “lockdown” totale, persi 100 miliardi di euro. Il CTS non è stato ascoltato per una chiusura a blocchi dell’Italia

La Fondazione Einaudi ha chiesto al Governo di desecretare gli atti del Comitato Tecnico Scientifico (CTS), quelli che hanno spinto l’esecutivo a varare, nel mese di marzo scorso, vari dpcm per imporre in maniera graduale il completo “lockdown” all’Italia. Agli inizi di marzo il CTS consigliava di dividere in due l’Italia con misure più rigorose per i territori a maggiore incidenza di contagi e un’altra, con maglie più larghe,  per l’intero territorio nazionale. In sostanza consigliava una chiusure a zone del Paese. In 24 ore il Governo, invece, ha deciso di chiudere tutta l’Italia.

Nei verbali del 3 marzo i tecnici affrontarono anche la possibile di chiusura di Alzano e Nembro, ovvero decretarne da subito  la zona rossa. I due comuni, per via dell’alto numero dei decessi,  sono oggi sotto la lente d’ingrandimento da parte della Procura di Bergamo per via della mancata istituzione della zona rossa.  Al riguardo sono già stati sentiti sia il premier Giuseppe Conte che il governatore lombardo Attilio Fontana.  Conte ha spiegato che a chiudere tutta la  Lombardia fu una scelta politica del governo che  arrivò dopo un confronto con gli esperti, in accordo con regione Lombardia. La Lombardia, ha precisato Conte al procuratore bergamasco,  avrebbe potuto comunque imporre “zone rosse” in maniera autonoma. Possibilità che a dire del governatore lombardo spettava, invece, al governo centrale.

Non sono, pertanto, ancora note le motivazioni “politiche” che spinsero il governo a chiudere l’Italia in maniera lineare senza valutare una chiusura a zone, forse qualche chiarimento potrà, però, venire fuori  dal verbale del 18 marzo, non ancora reso pubblico. 

E’ facile ora, con il senno di poi, porsi delle domande ed animare le critiche più insinuanti verso chi in quei giorni ha dovuto decidere in fretta, in piena emergenza. Una domanda lecita la pone, però, un editorialista de Il Messaggero.  Quanto è costato al Centro-Sud il fermo generale dell’Italia deciso dal governo intorno al 10 marzo quando l’infezione da Covid-19 praticamente riguardava solo alcune aree del Nord? 

La risposta è difficile da quantizzare, tuttavia il giornalista prova a fare due calcoli ipotizzando una perdita complessiva  pari a circa 100 miliardi di euro. La  stessa che poi, ironia della sorte,  il Governo ha chiesto in deficit per varare i vari decreti (Liquidità, Italia, Rilancio, Agosto).

La cifra è ricavata  dalla riduzione del Pil che per quest’anno è stimata intorno al 10%, ovvero ad un disavanzo di circa di 175 miliardi sui 1800 miliardi di Pil. Considerando la chiusura obbligata delle tre regioni del Nord, Lombardia, Veneto ed Emilia che portano da sole circa 715 miliardi di euro, il calcolo è fatto. 

Ma a chiarire il dramma del “lockdown” sull’economia è stato rapporto Svimez che ha stimato  una perdita di valore aggiunto su base mensile di quasi 48 miliardi di euro (il 3,1% del Pil italiano), oltre 37 dei quali persi nel Centro-Nord e 10 nel Mezzogiorno. Si tratta di 788 euro pro-capite al mese nella media italiana. 1000 euro al Nord contro i quasi 500 del Mezzogiorno. La perdita complessiva di fatturato è  stata di oltre 25,2 miliardi in Italia, per ogni mese di blocco.

Durante i mesi del “lockdown” totale, persi 100 miliardi di euro. Il CTS non è stato ascoltato per una chiusura a blocchi dell’Italia