Evacuazione Sudan: la Difesa appronta i piani mentre velivoli dell’Aeronautica sono già a Gibuti

(di Andrea Pinto) Gli Stati Uniti hanno completato l’evacuazione del personale della loro ambasciata in Sudan. Lo riportano i media americani citando alcune fonti, secondo le quale anche le famiglie del personale dell’ambasciata sono state evacuate. L’evacuazione è stata condotta tramite un aereo militare americano, ma non è ancora chiaro dove il personale dell’ambasciata sia diretto. Con l’ evacuazione, l’ambasciata americana in Sudan è temporaneamente chiusa. Anche la Francia ha iniziato una “operazione di evacuazione rapida” dei suoi cittadini e del personale diplomatico dal Sudan.

L’Italia si sta preparando per far evacuare 140 connazionali assiepati presso l’Ambasciata, l’unica sede in grado di garantire una certa cornice di sicurezza. Presso la cancelleria c’è cibo e acqua a sufficienza, mentre i generatori di corrente riescono a fornire l’energia necessaria. Occorre, tuttavia, accelerare le operazioni di evacuazione perchè la situazione può degenarare da un momento all’altro. Nel frattempo i velivoli da trasporto tattico dell’Aeronautica Militare italiana sono già stati dislocati a Gibuti. I velivoli militari italiani (C-130J e C-27J) a Gibuti appartengono alla 46ª Brigata Aerea di Pisa.

Essi hanno la capacità operativa di atterrare anche su piste corte e semi-preparate, peculiarità che può essere sfruttata in ambienti come i Teatri operativi o in situazioni in cui è necessario atterrare per portare aiuti o evacuazioni di emergenza su aeroporti parzialmente danneggiati da calamità naturali o conflitti armati. Per poter atterrare in queste piste improvvisate intervengono, prima di avviare la missione, gli operatori con qualifica Combat Controller del 17° Stormo “Incursori” per la valutazione della compattezza di qualsivoglia terreno al fine di capire se un velivolo militare possa o meno atterrare e ridecollare in piena sicurezza. Il perimetro di operazione è affidato alla forze speciali italiane per tutto il tempo necessario.

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A Palazzo Chigi si lavora, pertanto, ad un’operazione simile a quella dell’Afghanistan ed in queste ore si susseguono le riunioni d’emergenza tra il premier Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il sottosegretario Alfredo Mantovano, il capo di Stato Maggiore della Difesa Giuseppe Cavo Dragone, il generale Francesco Paolo Figliuolo, responsabile del Comando operativo di vertice interforze, i responsabili dell’Unità di crisi della Farnesina e dei servizi segreti.

L’Rsf, la milizia paramilitare che sta combattendo l’esercito regolare, ha promesso “piena cooperazione con tutte le missioni diplomatiche, fornendo tutti i mezzi di protezione necessari e garantendo il loro ritorno sicuro nei loro Paesi”. Il gruppo si è detto pronto ad aprire “parzialmente” “tutti gli aeroporti” in Sudan per evacuare i cittadini stranieri, ma non è ancora chiaro quali aeroporti controlla l’Rsf perchè al-Burhan, il generale dell’esercito regolare, ha smentito in tv la notizia sostenendo di avere lui “il controllo di tutti gli aeroporti, tranne quello di Khartoum”, attorno a cui si combatte, e di Nyala, la capitale del Darfur meridionale.

Nella capitale del Sudan le sedi diplomatiche non sono state attaccate, tranne un tentativo a quella francese, ma gli aeroporti non sono agibili e questo rende pericoloso ogni tentativo di lasciare la città. Lo scontro fra esercito e paramilitari non si ferma, e la tregua firmata per la fine del Ramadan, ha retto solo poche ore.

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