La resilienza della Russia

di Andrea Pinto

La Russia continua la sua operazione militare speciale in Ucraina bombardando con costanza i territori occupati, dimostrando la tenuta dei suoi arsenali, apparentemente inesauribili ed in grado di rifornirsi senza soluzione di continuità. Anche se la popolazione, nella vita reale, inizia a soffrire lo sforzo bellico, secondo la propaganda del Cremlino, gli obiettivi rimangono invariati anche per il 2024.

La Russia ha invaso l’Ucraina dopo aver schierato, nei mesi antecedenti l’invasione, circa duecentomila uomini sui suoi confini occidentali. Nessuno immaginava tra gli sherpa delle cancellerie europee e delle istituzioni in seno alla Nato, Ue ed Onu che Vladimir Putin potesse arrivare a tanto, portare la guerra nel cuore dell’Europa.

Per lo zar dei nostri giorni ed il suo assertivo entourage non si è trattata di invasione ai danni di uno Stato sovrano ma solo di un’operazione militare per ristabilire l’”ordine” in una propria regione, diventata troppo filoccidentale e nazificata: la convinzione storica di Putin, data dallo splendore dell’impero russo di Pietro il Grande, considera l’Ucraina parte integrante della Federazione, alla pari della Crimea e di altre nazioni una volta orbitanti all’ex Unione Sovietica.

L’invasione dell’Ucraina, supportata velatamente da tale tesi storica, è la risposta putiniana al presunto accerchiamento dell’Occidente per mano della Nato: Nessuna recinzione intorno alla Russia, combattiamo come ai tempi di Pietro il Grande”.

Alla luce dei dati open source, solo un folle penserebbe di invadere l’Ucraina e combattere indirettamente l’Occidente con una forza militare convenzionale non predominante anche se detentore  del primato mondiale nel campo degli armamenti nucleari: 5889 testate russe a fronte delle 5646 americane (Stockholm International Peace Research Institute – Sipri – gennaio 2023). I numeri comprendono le testate nucleari strategiche, tattiche e quelle da distruggere, in aderenza al trattato bilaterale New START, al momento sospeso unilateralmente dalla Russia.

Il Pil russo e i fondi per la Difesa

Ma come si fa a combattere un nemico, l’Occidente, che spende in armamenti venticinque volte di più? La Russia con un Pil di 2241 mld di dollari, impegna nella Difesa 86,4 miliardi di dollari (anno 2022). Secondo i dati del Sipri, sempre in riferimento all’anno 2022, l’America del Nord spende, invece, ben 877 miliardi di dollari, pari al 3,7% del suo Pil, ma soprattutto pari al 39% dell’intera spesa militare di tutte le nazioni mondiali che impegnano complessivamente 2240 miliardi di dollari. Per capire l’entità dell’impegno, gli Usa spendono tre volte più della Cina che si attesta comunque come secondo Paese al mondo in termini di fondi destinati alla Difesa.

Nel corso del 2024 la Russia, secondo i primi dati che emergono dai documenti previsionali, ha intenzione di continuare ad aumentare la spesa militare portandola al 6% del suo Pil. Il budget destinato alla Difesa schizzerebbe così da 86,4 miliardi di dollari annui a 112 miliardi che sono comunque apparentemente insufficienti se paragonati ai quasi 900 miliardi di dollari impegnati dagli americani.

Al riguardo, occorre però fare una considerazione non secondaria: le materie prime e la manodopera provengono dall’interno della Federazione dove, notoriamente, il costo della vita è molto basso se paragonato alle economie moderne (110° posto a livello mondiale).

Come indicatore è eloquente il valore dello stipendio medio a Mosca che si aggira intorno a 900 euro al mese (senza alcuna differenza sostanziale tra operai, minatori ed ingegneri). Non sono tanti, ma comunque sempre di più della media nazionale che, secondo i numeri forniti dall’ufficio federale statistiche di Mosca, si attesta in media a 450 euro al mese. (rif. anno 2020).

Il Fondo Monetario Internazionale ha, di recente, certificato la resilienza dell’economia della Federazione russa alle sanzioni occidentali. A suffragare la salute dell’economia di Mosca anche il World Economic Outlook di luglio scorso che ha rivisto al rialzo le stime sul Pil russo del 2023, la crescita dovrebbe essere dell’1,5% invece dello 0,7% previsto ad aprile scorso, in aumento dello 0,8%. Le previsioni del Fmi per il 2024 restano invece invariate, al +1,3%.

L’aumento costante del Pil russo, secondo gli osservatori internazionali, è dovuto probabilmente ai ricavi dell’esportazione di petrolio e gas, rimasti invariati anche dopo la guerra e le sanzioni.

La Russia vende gas e petrolio nonostante le sanzioni

Un’inchiesta del quotidiano tedesco Die Welt ha svelato la strategia adottata da Mosca per continuare a vendere il suo petrolio, specialmente verso il mercato asiatico, utilizzando compagnie di navigazione straniere che caricano il greggio dai porti russi che insistono sul Mar Nero. Ogni mese il Paese esporta circa 60 milioni di barili di greggio, un terzo del totale, attraverso il porto di Novorossijsk.

Tuttavia, i pericoli derivanti dalle incursioni ucraine nel Mar Nero potrebbero accelerare gli sforzi della Russia per utilizzare la Northern Sea Route (NSR) per trasportare il greggio verso i mercati internazionali, soprattutto in Asia. Decine sono le petroliere che, negli ultimi mesi, hanno attraversato la rotta artica per raggiungere  Cina ed India.

Le transazioni che coinvolgono la Russia sono, però, consentite solo se in linea con il limite massimo di prezzo a barile stabilito dai paesi del G7, dell’Ue e dell’Australia. Per aggirare tale vincolo, sempre secondo il Die Welt, Mosca avrebbe acquistato vecchie petroliere battenti bandiere occidentali per trasportare la propria materia prima. Tali navi evitano di pagare  le assicurazioni previste e spengono il sistema radio in mare (transponder) per viaggiare nell’anonimato e  nascondere così  le loro rotte. L’Ue sta cercando di dare un giro di vite al fenomeno vietando alle navi di fare scalo nei porti europei. Questa è l’intenzione dell’undicesimo pacchetto di sanzioni, adottato a giugno scorso.

Per continuare a sostenere lo sforzo bellico un terzo dell’economia russa, secondo l’intelligence occidentale, è stata totalmente convertita per soddisfare le esigenze del fronte. La produzione delle fabbriche interessate è stata convertita, pertanto, da civile a militare, imponendo agli operai turni estenuanti, sette giorni su sette.

Per quanto riguarda la componentistica di pregio come i microchip Mosca riesce comunque ad approvvigionarsi in Asia ma anche in Occidente tramite paesi terzi. Per razzi e proiettili d’artiglieria è stato siglato un accordo con la Nord Corea che ha i depositi pieni di munizioni che, anche se datate, possono comunque favorire la strategia del Cremlino nel perseguire l’obiettivo tattico della persistenza dei bombardamenti in Ucraina.

Mosca rinuncia all’innovazione nel campo militare

Alcuni quotidiani internazionali hanno poi rivelato il nuovo approccio del Cremlino allo sforzo bellico: tutte le risorse, in termini di denaro e uomini,  dovranno essere concentrate solo  sulle armi ampiamente sperimentate nel corso del conflitto, evitando di investire, nel medio termine,  sull’innovazione. Mosca vuole concentrarsi, in questa fase della guerra, solo sui sistemi di provata affidabilità come i missili cruise KH-55, risalenti ai primi anni Ottanta, aggiornandone solo gli apparati di navigazione per sfuggire alla contraerea ucraina.

Continua, pertanto, la costruzione dei collaudati tank T90 e dei più recenti T72. E’ stata avviata anche la revisione e aggiornamento degli armamenti considerati vetusti ed accatastati in gran numero nei depositi come i tank T62 e T55.

E’ anche raddoppiata la produzione di elicotteri Kamov KA52 “Alligator”, mentre nel settore dei droni i russi producono, in casa,  centinaia di Shahed iraniani e i temibili Lancet.

Approfondimenti

Trattato New START

Il New START è stato firmato a Praga nel 2010 ed è entrato in vigore l’anno successivo. Il trattato è inteso come un rinnovo e/o una continuazione del trattato START I del 1991, scaduto nel 2009, ma riduce ulteriormente i limiti previsti da quest’ultimo.

Il New START limita a 1.550 le testate nucleari che ciascuno dei due paesi può schierare e fissa anche limiti quantitativi al numero di missili balistici intercontinentali a capacità nucleare, ai bombardieri e ai lanciatori schierati. Il New START prevede un meccanismo di ispezioni (18 ispezioni a breve termine all’anno) e di notifiche reciproche, nonché incontri regolari per discutere l’attuazione del trattato. Lo START I (Strategic Arms Reduction Treaty) è stato, invece, un trattato bilaterale tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sulla riduzione e la limitazione delle armi strategiche offensive. Il trattato è stato firmato il 31 luglio 1991 ed è entrato in vigore il 5 dicembre 1994. Il trattato vietava ai firmatari di schierare più di 6 mila testate nucleari e un totale di 1.600 missili balistici intercontinentali (ICBM) e bombardieri.

Elicotteri Kamov Ka-52 “Alligator”

Gli elicotteri Kamov Ka-52 “Alligator” si sono dimostrati molto affidabili nel conflitto russo-ucraino. Tra gli elicotteri d’attacco il Ka-52 è uno dei più utilizzati per la sua efficacia in combattimento. In un incidente aereo il 19 giugno 2023, nonostante abbia subito gravi danni al gruppo di coda ed alla sezione della cabina di pilotaggio, l’aeromobile è riuscito comunque  a tornare in sicurezza alla base e ad atterrare. L’elicottero d’attacco Kamov Ka-52 “Alligator” è un mezzo biposto con rotore principale coassiale. Il primo volo risale al 25 giugno 1997. È entrato in servizio con l’aeronautica militare russa. Monta 2 turbine Klimov TV3-117VK (con potenza 1600 kW ciascuna). Tra gli armamenti figurano un cannone Shipunov 2A42 da 30 mm; missili aria-aria, aria-terra, anticarro e razzi.

Drone Lancet

Il drone Lancet è invisibile ai radar, il suo motore elettrico non emette suoni forti e la massa dell’unità da combattimento è spesso sufficiente per danneggiare anche attrezzature pesanti. Durante l’anno e mezzo di guerra, i russi hanno utilizzato circa 850 droni Lancet. Non tutti hanno raggiunto i loro obiettivi, ma l’esercito ucraino spesso definisce questi droni uno dei principali problemi al fronte. A luglio si stimava che alla Russia fossero rimasti solo 50 Lancet, ma questi droni non stanno affatto finendo. Decine di Uav (Unmanned aerial vehicle) kamikaze volano ancora, perché i russi continuano a produrli.

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