Libia, pronte manifestazioni contro delegazione europea del 7 gennaio

Il sito libia.it ha riferito che la componente islamista libica, rappresentata dall’Assemblea Nazionale Libica dei Rivoluzionari del 17 Febbraio, ha convocato per il 7 gennaio una manifestazione nella capitale proprio contro l’arrivo della delegazione europea e in sostegno ai protocolli d’Intesa tra Erdogan e Serraj. Il gruppo ha affermato il suo netto rifiuto alla visita di Borell e dei ministri degli Esteri di Italia, Germania, Regno Unito e Francia in Libia, che avrebbe come scopo il far deragliare lo spiegamento di forze turche a favore delle milizie e dei terroristi sostenuti dalla Fratellanza Musulmana e da Ankara.

La Fratellanza Musulmana (AI-Khwan Al-Muslimun) è riconosciuta come movimento terroristico dalla maggior parte dei Paesi arabi, tra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein, nonché dalla Russia e anche l’amministrazione americana del presidente Donal Trump sta andando in questo senso. Il gruppo è stato fondato nel 1928 in Egitto come organizzazione religiosa, sociale e politica e si è evoluta nei decenni successivi assumendo un carattere internazionale che ha come scopo l’allontanamento dal secolarismo e il ritorno ad un sistema di governo gestito dalla legge islamica, la sharia. Quindi, la creazione di uno Stato Islamico esattamente come altri gruppi terroristici più sanguinari: Daesh ed al-Qaeda. Erdogan oggi non nasconde il suo sostegno ai gruppi estremisti ed il suo ruolo è simile a quello di Bin Laden, ma più pericolo se si pensa che agisce sotto l’ombrello della legittimità politica. Sebbene la Fratellanza fosse precedentemente impegnata a operare con tattiche violente per garantire i suoi obiettivi, così come Daesh, attualmente rifiuta l’uso della violenza e cerca di essere maggiormente coinvolto nel processo politico tradizionale utilizzando i media e i meccanismi della propaganda per affermarsi come movimento democratico, così come accaduto in Libia dove Daesh, al-Qaeda ed Ansar al-Sharia sono stati promossi come gruppi legittimi che si contrapponevano al rischio di una dittatura militare, rappresentata dall’LNA, facendo leva sulla frammentarietà del tessuto sociale libico post-rivoluzione.

Sin dalla sua fondazione, i Fratelli Musulmani hanno profondamente influenzato la vita politica in Medio Oriente. Il suo motto è dire: “Allah è il nostro obiettivo. Il profeta è il nostro leader. Il Corano è la nostra legge. La jihad è la nostra strada. Morire sulla strada di Allah è la nostra più alta speranza”. Se le idee radicali della Fratellanza hanno forgiato le credenze di generazioni di islamisti, negli ultimi due decenni, ha perso parte del suo potere e del suo fascino in Medio Oriente, snobbato dalle giovani generazioni di Islamisti che spesso preferiscono organizzazioni più radicali. Ma il Medio Oriente è solo una parte del mondo islamico. L’Europa infatti, a cui Erdogan punta con l’invio di terroristi in Libia, è diventata l’incubatrice del pensiero islamico e dello sviluppo politico. Dall’inizio degli anni ’60, membri dei Fratelli Musulmani e simpatizzanti si sono recati in Europa e hanno lentamente ma costantemente istituito una vasta e ben organizzata rete di moschee, organizzazioni caritative, think thank e organizzazioni islamiche. “A differenza della più ampia comunità islamica – scriveva nel 2005 il professor Lorenzo Vidino – l’obiettivo finale della Fratellanza potrebbe non essere semplicemente aiutare i musulmani a essere i migliori cittadini che possono essere, ma piuttosto estendere la legge islamica in Europa e negli Stati Uniti”. L’invio di terroristi in Libia da parte di Erdogan rientra in questo piano se si considera la posizione strategica del Paese nella regione.

Interpol ha già confermato la minaccia terroristica proveniente dalla Libia, identificando il potenziale di infiltrazioni nei percorsi dei migranti in Europa e la possibilità di sfruttare questo punto di ingresso illegale al fine di consentire agli individui radicalizzati di perpetrare attacchi in Europa per suo conto o impegnarsi in altre attività sovversive, come la distribuzione di propaganda o la raccolta di fondi. L’arrivo di terroristi dalla Siria alla Libia inoltre dovrebbe preoccupare l’Europa per l’accesso quasi imminente a persone spesso vulnerabili nel sud della Libia, principalmente migranti appunto in viaggio verso l’Europa che possono essere reclutati come combattenti, oltre a poter radicalizzare parti della popolazione locale sfruttando la divisione politica del Paese. La posizione geografica della Libia nel Nord Africa, in congiunzione con il confine con l’Africa sub-sahariana e la visualizzazione di una vasta costa verso il Mar Mediterraneo, sebbene non gli unici fattori – afferma Interpol -sono decisivi nel condurre la Libia a diventare un paese di transito per la migrazione in Europa. “Osservando i precedenti attacchi terroristici in Europa, è chiaro che l’Isis ha sfruttato le rotte migratorie nel continente”. Aggiunge il rapporto, evidenziando le preoccupazioni che alcuni terroristi continueranno a tentare di entrare in Europa sia a livello dell’UE, sia tra i funzionari di sicurezza libici convinti che Daesh stia collaborando con trafficanti di migranti oggi impegnati al fronte contro l’LNA, come Abdulrahman al-Milad detto Bija, che a novembre 2017 fu invitato in Italia come funzionario della Guardia Costiera Libica di Zawiya.

Non mancano gli esempi di terroristi già arrivati in Europa dalla Libia. Alagie Touray, un cittadino della Gambia in arrivo a Messina, in Italia, nella primavera del 2018 e in attesa dello status di rifugiato, sembra aver pianificato un attacco in Europa. Dopo il suo arresto in Italia, è stato trovato un video contenente un giuramento di lealtà a Daesh, registrato e inviato tramite Telegram a una serie di destinatari. Due importanti attacchi terroristici dell’Isis, quello con un camion del dicembre 2016 a un mercatino di Natale a Berlino di Anis Amri e l’attentato dinamitardo al concerto di Manchester del terrorista suicida Salman Abedi nel maggio 2017, hanno focalizzato l’attenzione sull’attività dell’Isis in Libia. Entrambi gli attacchi sono stati rivendicati da Daesh tramite la sua agenzia di stampa Amaq. I collegamenti con la Libia sono di diverse qualità: il tunisino Anis Amri ha ricevuto una guida didattica online e supporto motivazionale, mentre Salman Abedi, un cittadino britannico di origine libica, si è recato fisicamente in Libia, dove secondo quanto riferito ha incontrato membri dell’IS e ricevuto istruzioni di persona. Il fatto che entrambi i casi si colleghino alla Libia dimostra che Daesh è stato in grado di stabilire un hub operativo sul suolo libico che lavora per collegare gli estremisti nordafricani in Europa. I jihadisti hanno già utilizzato le rotte nel Mediterraneo per il traffico di armi e potrebbero migliorare le loro abilità ed espandere le loro operazioni approfittando del conflitto prolungato.

Le preoccupazioni si fanno più concrete se si pensa all’approccio e le politiche della Turchia nei confronti di Daesh in Iraq e in Siria. Il governo turco, hub della Fratellanza Musulmana internazionale, è stato più volte accusato di connivenza, fornendo segretamente sostegno finanziario e militare o quantomeno di tollerare l’ISIS. Il declino dello Stato Islamico, quasi quattro anni dopo la sua apparizione in questi Paesi, fu il risultato di un’aggressiva campagna militare per combattere il gruppo, guidata principalmente dagli Stati Uniti. Sebbene il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha cercato di prendersi il merito della morte del gruppo, insistendo sul fatto che le azioni della Turchia nella Siria settentrionale hanno contribuito a gettare le basi per una pace sostenibile, gli osservatori internazionali hanno rimarcato che le azioni della Turchia invece hanno contribuito ad alimentare l’ascesa dello Stato islamico. A partire dalla fine del 2013 e all’inizio del 2014 le città di confine turche sono diventate i principali snodi logistici per i combattenti stranieri che cercavano di entrare in Siria e Iraq per unirsi allo Stato islamico e ad altri gruppi ribelli. Gli stessi che oggi vengono ridistribuiti in Libia. Non va dimenticato inoltre che i combattenti stranieri provenienti da tutto il mondo hanno viaggiato prima in Turchia e poi in Iraq e Siria, formando la spina dorsale e il potere sorprendente dell’Isis. Solo nel 2013, circa 30.000 militanti hanno attraversato il suolo turco, stabilendo la cosiddetta autostrada jihadista, mentre il paese divenne un canale per i combattenti che cercavano di unirsi allo Stato islamico. Ad agosto 2015, solo quando tutti i combattenti erano già arrivati in Siria, la Turchia ha rafforzato i suoi confini e ha accettato di impegnarsi in missioni come l’Operazione Inherent Resolve.

Un resoconto del sostegno turco a Daesh viene fornito da Abu Mansour al Maghrebi, che intervistato dall’agenzia di stampa no profit Homeland Security Today nel marzo 2019, ha dichiarato: “Ci sono stati alcuni accordi e intese tra l’intelligence turca e l’organizzazione di sicurezza interna dell’ISIS, emis Isis, sulle porte di confine per le persone che sono rimaste ferite”, ha osservato Abu Mansour. “Ho avuto un incontro diretto con il Turkish National Intelligence Organization (MIT), molti incontri con loro”. “Ho superato i confini e mi hanno lasciato passare. Al confine i turchi mi hanno sempre mandato un’auto e sono stato protetto. Una squadra di 2-3 persone della nostra parte era con me. Sono stato responsabile della nostra squadra per la maggior parte del tempo”.  Ha aggiunto il leader di Daesh Abu Mansour. Ci sono molti altri esempi del supporto passivo di Erdogan ai combattenti siriani, inclusi i militanti feriti dello Stato Islamico trattati gratuitamente negli ospedali della Turchia sud-orientale. Le stesse cure mediche sono state riservate agli estremisti libici che parteciparono agli attacchi alla Mezzaluna petrolifera con Ibrahim Jadhran, a giugno 2018, e ancora prima ai comandanti di al-Qaeda e della Terza Forza di Misurata, responsabili del massacro di Brak al Shati nel 2017, in cui oltre 150 persone, la maggior parte civili, sono stati uccisi. Gli attacchi vennero giustificati come un tentativo del GNA di espandere la sua legittimità territoriale, cosa che non è mai accaduta.

Ci sono state anche notizie diffuse di funzionari turchi, incluso il genero del presidente Recep Tayyip Erdogan, coinvolti nell’acquisto di petrolio dello Stato islamico attraverso società di facciata – azioni che senza dubbio hanno contribuito a riempire le casse degli insorti e alla longevità del gruppo. Il petrolio di contrabbando di Daesh è stato costantemente venduto in punti lungo il confine turco per tutto il 2014 e fino al 2015. Le rivelazioni più sconvolgenti del governo di Erdogan e del business petrolifero dell’ISIS sono arrivate dalla Russia, che ora sta lavorando con la Turchia per neutralizzare la minaccia jihadista nel nord della Siria. Dopo che un aereo da guerra russo è stato abbattuto sul confine turco-siriano da un F-16 turco, il 24 novembre 2015, il presidente russo Vladimir Putin ha accusato direttamente la Turchia, in particolare il presidente turco Erdoğan e la sua famiglia, di avere legami commerciali con l’ISIS e di aiutare a vendere il suo petrolio. Dopo che il suo jet è stato abbattuto e il pilota è stato assassinato, la Russia era in preda a un’imponente rabbia. Senza spendere molto tempo sui dettagli dello scontro al confine, la parte russa ha lanciato all’improvviso una serie di accuse di aiuto e sostegno della Turchia nei confronti dei terroristi dell’ISIS. Putin ha dichiarato: “Abbiamo tutte le ragioni per pensare che la decisione di abbattere il nostro aereo sia stata dettata dal desiderio di proteggere le linee di approvvigionamento di petrolio al territorio turco”. Putin aggiunse che “questo incidente si distingue dalla solita lotta contro il terrorismo. Le nostre truppe stanno combattendo eroicamente contro i terroristi, rischiando la vita. Ma la perdita che abbiamo subito oggi è stata causata da una pugnalata alla schiena di complici dei terroristi”.

Un rapporto di Rystad Energy commissionato dal governo norvegese rappresenta un altro serio contributo al dibattito sul ruolo della Turchia nella rete del commercio di petrolio dei terroristi. Il rapporto ha stabilito che la maggior parte del petrolio venduto dall’ISIS è stato venduto direttamente alla Turchia. Joseph Fallon, esperto di estremismo islamico e socio di ricerca del Forum di difesa del Regno Unito, ha dichiarato a Fox News che una rete ISIS stava effettuando scambi di petrolio attraverso rotte di contrabbando attraverso la Siria, l’Iraq e la Turchia, dove poi corrompevano o minacciavano i funzionari del Governo di accettare il loro petrolio e ottenere i prezzi di mercato pagati, aggiungendo che tale petrolio se miscelato con l’olio in oleodotti legittimi, diventa irrintracciabile. Anche se variano nei dettagli, tutte queste storie, studi e dichiarazioni di testimoni condividono lo stesso punto comune, che la Turchia ha contribuito all’ascesa dell’ISIS attraverso il ruolo di facilitatore e talvolta anche attraverso un ruolo attivo nel commercio del petrolio, che ha servito da linfa vitale per l’ISIS.

A questo punto, dobbiamo anche ricordare la giornalista Serena Shim, cittadina americana di origini libanesi, che riportava sul campo la guerra civile siriana, uccisa in un incidente d’auto nell’ottobre 2014, un giorno dopo aver dichiarato di essere stata minacciata dall’agenzia di intelligence turca per aver riferito che i combattenti dell’ISIS e dell’Esercito siriano libero (FSA) stavano attraversando il confine turco con un camion. Le circostanze della sua morte sono ancora un mistero così come quelle della collega maltese, Daphne Caruana Galizia, assassinata in un attentato dinamitardo mentre stava investigando sul contrabbando di petrolio internazionale tra Libia, Malta, Italia e Turchia.

Libia, pronte manifestazioni contro delegazione europea del 7 gennaio