Traffico dei Migranti su Facebook: scoperto dal gruppo E-Crime dell’Università di Trento

Il giornale on line Il Dolomiti  ha pubblicato un interessante articolo che rivela il modo “illegale” in cui si sta sviluppando il traffico dei migranti e la tratta di esseri umani dai paesi africani verso l’Europa. Si chiama “Surf and sound” la ricerca sul ruolo di Internet e dei social network sullo scottante argomento condotto dal gruppo E-Crime della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento coordinato da Andrea Di Nicola. Un progetto dallo sguardo internazionale, condotto in collaborazione con tre gruppi di ricerca del Regno Unito, della Romania e della Bulgaria, che ha portato sotto le luci della ribalta i ricercatori italiani che ci hanno lavorato a Trento, tra cui i supervisori Andrea Di Nicola, Gabriele Baratto ed Elisa Martini. Il Corriere della Sera ha intervistato Gabriele Baratto.

Quanto è durato il periodo di ricerca e quale era l’idea alla base del vostro lavoro?

Al progetto abbiamo lavorato dal 2015 al 2017 con l’obiettivo di indagare il ruolo di Internet e dei social network nel traffico dei migranti e nella tratta di esseri umani. L’obiettivo era creare una conoscenza da trasferire alle forze dell’ordine e alle Ong perché potessero sfruttarla in campagne di sensibilizzazione per la prevenzione. Credo inoltre che ciò che abbiamo studiato si potrebbe utilizzare per ottenere informazioni di intelligence sempre per agire in ottica di prevenzione.

Avete lavorato in collaborazione con altri tre Paesi.

Sì, con il gruppo di ricerca della Teesside University del Regno Unito, il Romanian Center for European Policies e il Romanian Institute for Evaluation and Strategy e con il Center for the Study of Democracy della Bulgaria.

Come avete operato?

Abbiamo lavorato con un ricercatore di madrelingua araba e ci siamo concentrati sui social network e altri siti web. I primi soprattutto sono sempre più usati per i traffici criminali.

Su quali piattaforme vi siete concentrati?

Principalmente su Twitter, Facebook e Instagram. Con una particolare attenzione a Facebook perché, per il tipo di contenuti che permette, è il più flessibile. Ad esempio Instragram, essendo basato sulle fotografie, mal si adatta a questo tipo di traffici.

Cosa avete scoperto per quanto riguarda il traffico di migranti?

Ci sono centinaia di profili e pagine che pubblicizzano questi servizi di trasporto illegali. Li abbiamo trovati immettendo come chiave di ricerca “Viaggi in Europa”, “Ingressi Schengen” o parole chiave simili in arabo. In genere sono pubblicati dei post con foto o video di mezzi di trasporto idilliaci, parliamo di begli yacht, treni, navi in partenza e così via. Il testo del post dà invece indicazioni generiche sul luogo della partenza. Ad esempio: “Per i Siriani che vogliono andare in l’Europa si parte dalla Turchia”. Poi è indicato un numero di telefono che c’è scritto di contattare via Whatsapp, Telegram o Viber.

Avete anche provato a contattare i numeri che avete individuato?

Li abbiamo contattati sulla base di un copione che avevamo elaborato. Il nostro ricercatore di madrelingua chiamava con un prefisso internazionale italiano, quindi abbiamo dovuto pensare a una storia credibile: una di quelle che abbiamo usato lo vedeva già in Italia, interessato a far arrivare qui anche dei suoi parenti.

Cosa succedeva poi?

Ci venivano date delle informazioni sul servizio di trasporto. Queste realtà operano proprio come delle agenzie di viaggio: hanno diversi pacchetti di viaggio e anche delle promozioni. Ad esempio spesso veniva detto che i bambini viaggiano gratis fino a una certa età. Ci sono anche sconti per le persone over 60-65, che in genere pagano la metà.

Pacchetti di viaggio?

Ad esempio per andare dalla Turchia all’Italia veniva proposto un viaggio diretto in barca a vela a circa 7.000-7.500 euro con arrivo “su una spiaggia non controllata”. Oppure la proposta meno costosa prevedeva un viaggio con scalo in Grecia a un migliaio di euro in meno. La meno costosa: per 600-700 euro un viaggio in gommone dalla Turchia alla Grecia, poi ci dicevano che avremmo potuto fare riferimento ad altri organizzatori.

Avete avuto un riscontro sulla consistenza di queste proposte?

Non siamo potuti ovviamente andare a vedere di persona. Ma il fatto che i barconi che sono arrivati in Italia e che sembravano non avere un conducente fossero pubblicizzati precedentemente allo stesso modo di fa pensare che i post siano reali. Poi abbiamo intervistato dei migranti che ci hanno raccontato che hanno trovato il contatto sui social network. Dalle interviste è uscita un’altra curiosità.

Quale?

Che sembra che i migranti usino i social network per lasciare recensioni dei servizi offerti dai trafficanti come si farebbe con un’app dedicata alla ristorazione.

Dallo studio sulla tratta delle vittime cosa è emerso invece?

Abbiamo studiato come le vittime della tratta vengono reclutate dal mercato criminale. Sebbene in alcuni Paesi, quale è la Nigeria, il reclutamento avvenga in modo tradizionale, in altre zone il reclutamento avviene via Internet. Accade ad esempio nell’est Europa. Tra i metodi ci sono il “loverboy”, per cui il trafficante instaura via Internet una finta relazione sentimentale con la vittima, la fa poi trasferire e la sfrutta, oppure il reclutamento “sextorsion” in cui il trafficante finge una relazione, spinge le vittime a inviare foto o video sessuali che poi usa come ricatto. Abbiamo scoperto che i social media sono uno strumento usato perché le vittime ci pubblicano molte informazioni personali. Le vittime poi sono sempre più giovani e si amplia anche la platea di provenienza.

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