Offerta ai migranti detenuti: “liberi se combattete in Libia”

Il quotidiano britannico “The Guardian” ha citato l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani nel confermare che circa  2000 ribelli sarebbero stati trasferiti in Libia dalla città siriana di Idlib per rinforzare le truppe di Fayez al-Serraj. Il New York Times, invece, ha riportato la notizia secondo cui le forze appartenenti alla Tripoli Protection Force hanno affermato   la presenza a fianco dell’esercito nazionale libico di centinaia di cecchini russi, presumibilmente appartenenti alla compagnia Wagner.

L’Italia è presente con un proprio contingente a Misurata con un ospedale militare che ha sede nei pressi dell’Accademia dell’Areonautica che è stata oggetto di attacchi aerei da parte dell’aviazione di Khalifa Haftar. La Turchia, invece, lo scorso 2 gennaio ha disposto l’invio di proprie truppe per difendere Tripoli dall’assedio di Haftar. Erdogan in un discorso in Parlamento ha annunciato l’inizio delle operazioni in Libia, sebbene un contingente di ufficiali turchi sarebbe già impegnato a Tripoli in attività di formazione, supporto e coordinamento.

Giovedì 16 gennaio, in un’intervista ad un’emittente radio francese, l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia Ghassan Salamè ha spiegato che la Missione Onu non ha alcuna certezza sulle forze turche in Libia aggiungendo che “potrebbero esserci esperti militari turchi e certamente ci sono combattenti dell’opposizione siriana che sono stati inviati in Libia”. Salamè non ha detto chi ha inviato questi mercenari, ma si è limitato a precisare che “ci sono esperti ufficiali che rappresentano i governi in quanto vi sono società militari private, oltre a persone presenti per motivi ideologici e non possiamo mettere tutto sotto il titolo di mercenari”. L’inviato ha inoltre ribadito che la presenza di persone giunte in Libia per combattere per denaro o per motivi ideologici non è da escludere. I combattimenti a Tripoli, dal 4 aprile, hanno e continuano ad attirare “tutti coloro che mercanteggiano  armi o che  vogliono combattere, ma i loro status legali sono molto differenti”. L’inviato ONU ha affermato inoltre che almeno 10 Paesi hanno violato l’embargo sulle armi verso la Libia nel 2019 auspicando che la conferenza di Berlino possa mettere fine a questa politica.

Secondo UNHCR sarebbe stata offerta una possibilità ai detenuti: poter rimanere per sempre in Libia  se avessero scelto di combattere in prima linea. Il rappresentante speciale dell’UNHCR per il Mediterraneo centrale, Vincent Cochetel, ha dichiarato nei giorni scorsi che entrambi gli schieramenti starebbero reclutando migranti tra le sue file: Abbiamo visto che quegli sforzi di reclutamento erano rivolti principalmente ai sudanesi”, ha detto Cochetel, probabilmente per il fatto che sanno parlare l’arabo, spiegando che se i migranti decidono di arruolarsi, ricevono un’uniforme, un fucile e sono immediatamente portati nella guerriglia urbana. La questione era emersa già lo scorso 3 luglio 2019 quando in seguito al raid al centro di detenzione migranti di Tajoura, a sud di Tripoli, da parte dell’LNA, le immagini di sicurezza e le indagini condotte sul campo dalle organizzazioni internazionali hanno rivelato che diversi migranti erano usati dalle milizie per trasportare armi, effettuare riparazioni e manutenzioni sui mezzi militari utilizzati in battaglia.

Offerta ai migranti detenuti: “liberi se combattete in Libia”